Wild Child |
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| La prima cosa che Antonella vide aprendo la porta dell’appartamento furono gli occhi luminosi di Ettore. Il persiano avanzò elegantemente e miagolando la propria fame iniziò a serpeggiare sinuoso attorno alle caviglie doloranti della sua anziana padrona. Era stata in piedi tutto il giorno. Prima nella camera ardente. Poi in chiesa. E infine al funerale. Pierluigi si era ammalato improvvisamente e se n’era andato ancora più in fretta. Erano sposati da 36 anni. Antonella chiuse la porta, accese il lume dell’ingresso ed entrò in cucina per posare il recipiente rettangolare che stava iniziando a pesarle. Lo osservò in silenzio e mentre le tornavano in mente le parole imbarazzate dell’impresario delle pompe funebri, non poté fare a meno di paragonare quel contenitore poco più grande di una scatola di scarpe alla bara dove in quel preciso istante era chiuso suo marito. “Signora” aveva detto l’impresario porgendole la scatola, “questo le appartiene. Ce l’ha consegnato l’ospedale. Noi non sapevamo che lui…” Sebbene sfiorasse gli ottanta Antonella aveva il cervello di una ragazzina. Capì al volo. “Arrivo amore, arrivo! Tutta la pappa che vuoi!” disse richiamata alla realtà dai versi insistenti di Ettore. Dopo aver spazzolato tutto, il gatto raggiunse Antonella nella sua stanza. La vide spogliarsi, indossare la camicia da notte e sedersi sul letto con la scatola sulle ginocchia. I sigilli dorati scattarono con uno schiocco e un secondo dopo, tra le dita anziane della donna, apparve una rigida mano di plastica troncata all’altezza dell’avambraccio. Quegli idioti dell’agenzia funebre avevano chiuso la bara senza sincerarsi se il defunto fosse in possesso di una protesi artificiale. La donna la esaminò con malinconia, poi si sfilò la fede d’oro dall’anulare sinistro e cercò di inserirla nel dito paralizzato della protesi. Non c’era verso. L’anello era troppo stretto, così provò col mignolo. Sì, il mignolo era perfetto. Antonella si alzò, si avvicinò alla specchiera e posò la mano sul ripiano accanto alla spazzola. Ettore, con un balzo, si accostò all’arto e quando Antonella spense la sua luce i suoi occhi videro meglio di prima il piccolo graffio che lui stesso, tempo prima, giocando, aveva inferto sul palmo di plastica. Che cosa ci faceva lì quella mano? Perché la sua padrona continuava a dormire da sola? Ettore miagolò e non trovò risposta a nessuna domanda.
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