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| Luigi guardò le due bottiglie, prima di uscire dalla luce del lampione per addentrarsi nel canneto. Quest'anno non ce lo avrebbero fregato. Niente cenone alla Caritas con due dita di spumante alla fine. E nemmeno in centro, a fare da preda per testimoni di Geova e simili. Aveva le due bottiglie, e il posto sotto il ponte nascosto dalle canne. Non serviva altro. Avrebbe festeggiato a modo suo, fosse pure stata l'ultima volta.
— Fuori dalle palle, pezzenti. — Ma Luca... — Davide, sul sedile del passeggero, si sollevò la cravatta. — Pensavamo che... — Non avevi detto che era in maschera! — protestò Marco dal sedile dietro. — Ci saremmo procurati dei costumi! — disse Roberto, accanto a lui. — Lo so che vi siete agghindati, ma non me ne frega niente. A quella festa lì quattro poveracci come voi non ce li porto. Se non mi avessero invitato all'ultimo momento sarebbe stato diverso, ma adesso fuori!
La Mercedes ripartì sgommando. — Che si fa? — chiese Luca. Davide storse la bocca. — E dove vuoi andare? In piazza o in discoteca, in mezzo alla feccia? — Una mia amica... — iniziò Marco. — Lo so chi è. Una poveraccia di periferia. Io lì non ci vado. Cadde il silenzio. — Ve lo dico io cosa si fa — disse Davide. — Un capodanno da ricordare. Si va giù al fiume, si becca un barbone o un rumeno isolato, e lo si pesta per bene. Poi brindiamo con una bella bottiglia di whisky e... — Tirò fuori l'accendino e lo fece scattare. La fiamma illuminò i quattro visi dal basso.
Luigi non capiva perché quei quattro in giacca e cravatta stessero picchiando quell'altro tizio, quello sceso dalla Mercedes ed entrato nel canneto per vomitare, né perché questi fosse vestito di stracci come lui. Avrebbe voluto strillare per chiamare aiuto, ma aveva bevuto troppo. E poi quei quattro urlavano come indemoniati.
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