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Le lacrime della fenice, di Nerina Codamozza

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fra.maia
view post Posted on 26/3/2013, 23:12 by: fra.maia




Seguii il ragazzino che mi aveva fatto un cenno sullo stradone. Lui camminava avanti, il passo veloce, ogni tanto accennava un saltello, segno che fosse ancora un bambino. Poi si girava per controllare che non mi fossi perso nel dedalo dei vicoli e sibilava uno psst mostrando la fessura dove doveva esserci stato un canino. Forse gli era caduto quello da latte, o magari aveva perso il dente definitivo in chissà quale modo. Più ci addentravamo nella bidonville, più rallentava. Qua era difficile che la polizia si interessasse dei nostri affari. Arrivai a camminare a mezzo metro da lui. Aveva le braccia sporche, i vestiti macchiati.
– Che cosa ti serve? – mi chiese infine quando le baracche in lamiera furono le uniche costruzioni a circondarci. – Posso trovarti di tutto. Tu dimmi cosa ti serve.
– Lacrime – risposi e trattenni il respiro. – Lacrime di fenice.
Mi scrutò con gli occhi grigi e limpidi. Quel contatto mi fece sentire male, provai un senso di nausea. Dovevo tornare indietro.
– Hai i soldi? Fammeli vedere.
Non era stato uno sguardo di riprovazione, o tentennamento. Era solo preoccupato che non potessi pagarlo. Sputò per terra.
In una tasca avevo una pistola e nell'altra una mazzetta di banconote. Afferrai il denaro e lo feci sporgere per qualche centimetro.
– Seguimi – disse ancora.
Riprendemmo il girovagare, avevo perso l'orientamento, le file di baracche si susseguivano senza originalità, senza darmi punti di riferimento. Seguivo quel bambino, la nausea non mi aveva abbandonato. Sulla polvere, sdraiati davanti alle porte fatte con tende e cartoni, vecchi, donne e storpi mi osservavano con lo stesso sguardo che aveva avuto il bambino. L'odore di fogna contribuiva a strizzarmi lo stomaco. Mi concentravo solo a non vomitare.

Arrivammo di fronte a una di quelle baracche, più grande delle altre e con una porta vera all'ingresso, chiusa da uno spesso catenaccio. Il bambino si fermò e fece un fischio lungo. Da una coperta, a qualche metro di distanza si alzò una donna incinta che ci raggiunse. La pancia era enorme, il parto doveva essere a giorni. Non mosse alcun muscolo del viso, quasi non aveva espressione. Prese una chiave dagli stracci che aveva avvolti intorno al corpo e slegò la catena. Entrai dopo di lei, il bambino restò fuori.
Era buio all'interno, un odore di sangue ed escrementi diede il colpo di grazia al mio stomaco. Vomitai dove mi trovavo, sporgendomi in avanti. Il rumore di un generatore pizzicava l'aria viziata di quell'ambiente. La donna accese la luce e bussò alla porta successiva.
– Lacrime di fenice – disse.
Restammo in quella stanza per un lungo tempo. Pensai a mio figlio. Che lo facevo per lui. Il virus attaccava solo la nostra etnia, solo i bambini. Questione di giustizia avevano detto alcuni predicatori, l'uomo ricco è reso cieco per i crimini che ha commesso. Che giustizia poteva mai esserci, adesso, in quella baracca?
Non vedevo quello che avveniva dietro la porta. Ma lo sapevo.
Quando si aprì, la luce di una lampada alogena bianca sembrò uscire con l'uomo che mi porse il contenitore. Era sterile questo, rubato in qualche fabbrica ospedaliera.
Diedi i soldi all'uomo che li rifiutò e li fece contare alla donna. Non si dissero una parola. Quando lei annuì, il contenitore passò nelle mie mani. Mi diede una busta poi, per nasconderlo.
Forse i nuovi occhi di mio figlio erano stati sottratti a uno dei suoi. Ma restava lì con quell'espressione muta sul volto, senza accusarmi, senza saltarmi addosso e graffiarmi. I clienti erano protetti dalla legge della criminalità. Chi ha i soldi non si tocca. Sembravano essersi abituati allo stato delle cose.
Uscii dalla baracca, il ragazzino mi aspettava.
Sorrise, come un bravo commerciante.
– Buon affare? – chiese.
Io lo seguii ancora, cercando di svuotare la mente. Tornati sullo stradone, lo vidi fermarsi dove l'avevo incontrato, puntava gli occhi grigi sulla gente che passava, in attesa di nuovi clienti. Mi allontanai, chiedendomi chi avesse dato a quel commercio quel nome mitologico. Rinascere, vedere ancora. Dalla morte non si rinasceva, ma dal resto se si era nati dalla parte giusta della megalopoli, era possibile. Le lacrime però non scendevano più a nessuno. Raggiunsi la macchina, dovevo arrivare in clinica il più presto possibile.
 
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