| Roma. Venerdì Santo. 1882. F. sbottò: – Ma non lo vedete che è sempre più freddo, sempre più notte? – Sì, sì, lo sappiamo, lo sappiamo… – Lo lenirono in coro i compagni battendogli le mani sulle spalle e versandogli nel buffo bicchierino a clessidra un’altra abbondante dose del suo Bärenfang. – Dio è morto. E noi lo abbiamo ucciso. Il mondo brancica nel Buio, eccetera eccetera. Ma c’è sempre qualcosa che ci scalda. Fattene una ragione. – Voi non capite. – Protestò F. Non prima, però, di essersi scolato quel piccolo orologio a liquore di vetro e averlo deposto a testa in giù sulla tavola. L’aveva portata lui, quella bottiglia di prezioso liquore al miele, il leggendario “Cacciatore d’Orsi” prussiano, a quegli zotici. Come un tesoro. Aveva proprio ragione il Tale. Non si dovrebbero mai buttare le perle ai porci… – Una cosa è il fatto che un certo evento accadrà. Un’altra è sapere che esso accadrà. Ineluttabilmente. – Uh! Ineluttabilmente, che parolone! – Intervenne l’oste, un omone grasso e flaccido, che afferrò il bicchiere abbandonato per “pulirlo” con il suo grembiale sudicio. – Quand’accadrà, accadrà! Allora ci fasceremo la testa. Ma fino ad allora, lasciaci brindare in pace. Quella è la porta, “Sempre-più-freddo”! F. si alzò in piedi, posando nel contempo, in un unico elegante gesto, un tallero prussiano sulla tavola. Gli altri avventori ne trassero ulteriore motivo di scherno: – Persino la tua moneta è scaduta, non solo la tua filosofia! – Sì! Lo Zollverein è l’imperatore! – Sibilò F. con infinito disprezzo. Poi, scuotendo la testa. – Forse è meglio il Kaiser, con il suo volere divino e tutto il resto… E, messe le mani in tasca, si avviò all’uscita della bettola curvo, ma senza ondeggiare nemmeno un po’ nella sua andatura. Fuori, l’autunno, il caldo autunno romano, era alle porte. Un lieve vento orientale portava foglie d’arancio in volo in complicate vie barocche per tutta la lunghezza di Campo de’ Fiori. Rabbrividì. Un tempo aveva fatto caldo lì. Davvero tanto, troppo caldo, per uno dei suoi colleghi. Passi inquieti lo portano prima sul Lungotevere e poi ad attraversare il ponte, per finire, guarda un po’, nell’ultimo posto in cui avrebbe voluto dirigersi, avesse pianificato in anticipo l’itinerario. Ed ecco, era l’imbrunire sulla Piazza di Michelangelo, Apollo morente sembrava irridere la storia neppur bimillenaria di quella Istituzione su cui sorgeva e tramontava ogni giorno, con pressoché assoluta puntualità (ma ogni volta un po’ meno, un po’ meno, un po’ meno ancora…) da prima che quella basilica, e quella che l’aveva preceduta, fossero state pensate. – E fu sera e fu mattina… – Mormorò F., solo per se stesso, o almeno così credeva. – … sesto giorno. Una voce. Una donna! – Da quali stelle siam caduti per incontrarci qui? – F. le afferrò con trasporto le mani delicate. Alla ragazza venne la pelle d’oca e arrossì. O forse era solo il sole del tramonto, che le colorava il pallido viso? Aveva solo ventun’anni. Così giovane. Mentre lui… – Dalle “Vaghe stelle dell’Orsa". – Citò lei a suo beneficio. Sapeva quanto gli piaceva Leopardi. Da quando glielo aveva fatto conoscere. Certe opere non erano ancora popolari nel Regno d’Italia. Figuriamoci in Germania! E poi, facendosi più vicina, più accesa… – A proposito di Orsa… vedo che ne porti ancora addosso un po’ di miele… – E gli posò dolcemente le labbra all’angolo sinistro della bocca, sui baffi, dove d’annidava una stilla superstite di Bärenfang, renitente alla gravità, come a ogni altra legge. E la sfiorò in punta di lingua. Ma lui… Lui non si voleva ancora arrendere… Sarebbe impazzito un giorno, sicuramente. E anche il mondo, un giorno, avrebbe smesso di girare. Ma non quanto lo faceva impazzire quel contatto. Non quanto non cessavano di fargli girare la testa quelle labbra e quegli occhi! Stelle nuove, supernovae, al principio del loro brillare, mentre già per lui arrivava l’inverno… Che dire al Dio della Morte? Non questa sera. Non questa notte. Una cosa è il fatto che un certo evento accadrà. Un’altra è sapere che esso accadrà. Ineluttabilmente. E lui sapeva, ormai, di aver perso la testa. Giunga pure l’inverno! Nel tuo bacio. Salomé. E F. dischiuse le labbra. Lentamente. Ineluttabilmente.
|