| Beppe entrò nel laboratorio. «Per la miseria...» il freddo intenso lo avvolse, mordendo là dove non c’era stoffa a proteggere il suo corpo. «Beppe, sei tu?» «Luigi, qua dentro ci saranno quindici gradi sottozero, cazzo!» «Eh, lo so. Del resto il sistema rimane stabile solo a basse temperature. Il mio panino?» «Thò, e i tre euro li voglio subito stavolta». «Ellallà, quanta diffidenza, ciccio! Il giorno in cui le multinazionali mi copriranno di soldi, ti comprerò un’intera panetteria, contento?» «Ci conto. Ora dammi tre euro». «Capito, capito. Prenditeli là nel portafogli, vicino al fax. E già che ci sei, portami il tablet, che dovrebbe essere arrivata una mail». «Allora, a che punto siamo con l’apertura del passaggio?» domandò Beppe mentre scrutava l’interno del borsellino e poi lo schermo led. «Direi che… che ci siamo, anche se stavo proprio aspettando i dati dall’Università dell’Illinois circa la gittata di questo tunnel spaziotemporale. Se le mie teorie sono esatte, dovrebbe divorare parsec come caramelle!» «Uhmmm, qui c’è scritto “a marte per certo”… ma cosa vuol dire?» Con un tonfo sordo Luigi si ribaltò dalla sedia. Annaspò sul linoleum per liberarsi dalla piantana a rotelle in cui era rimasto incastrato e a grandi passi, con gli occhi sgranati, balzò su Beppe che ancora fissava perplesso lo schermo. «Dai qua!» ringhiò Luigi, strappando il tablet dalla mano dell’amico «Anche quello» aggiunse poi, cercando di afferrare con la stessa decisione la baguette al prosciutto, senza però riuscirvi. «Eh, eh, che modi, caro lo scienziato pazzo dei miei zebedei. Nel portafogli non ci sta una lira e quindi, come si dice dalle mie parti, “no euro…». «Fa niente, fammi leggere qua piuttosto. C’è proprio scritto “ a marte per certo”… e viene dal professor Rudolph, Università dell’Illinois… omioddio…». «Sì, ma io continuo a non capire: qual’era la domanda?» Luigi parve destarsi da un sogno «Uh… ehm… ah sì, la domanda. La domanda era “dove conduce il tunnel energetico mantenendo la stabilità molecolare?”. Ti rendi conto? Marte!» «Cioè… stai parlando di una specie di teletrasporto interplanetario?» «Una specie. In questo caso il corpo non viene però smolecolarizzato, bensì solo accelerato. Vieni, andiamo a vedere a che punto siamo». I due ragazzi si accomodarono davanti alla consolle. La parete di fronte cominciò a scorrere di lato. «Metti gli occhiali protettivi» intimò Luigi a Beppe, porgendogli una sorta di maschera da subacqueo con la lente praticamente nera «in questa fase l’emissione di energia è cresciuta a dismisura». Dalla fessura sul lato della parete filtrò una lama di luce intensissima. Mano a mano che l’apertura si allargava, il laboratorio veniva pervaso da una luminosità sempre più abbacinante. Beppe calzò subito la maschera. «Vedi?» Luigi, indicò la fonte di energia, ormai pienamente visibile «È un tubo colmo di plasma, una sorta di fibra ottica all’ennesima potenza. Davanti ci sono due membrane che ora si aprono e si chiudono al ritmo di 30 cicli al secondo, ma stanno rallentando da ieri con progressione geometrica». «Lo ammetto. Sono esterrefatto!» balbettò Beppe «E mo’?» «Mo’ questo». Beppe si voltò verso l’amico che nel frattempo era andato ad aprire un armadio blindato e ora gli sorrideva da dietro la semisfera di vetro del casco della tuta spaziale in cui si era rinchiuso. «Co… cosa hai intenzione di fare?» Luigi aveva già oltrepassato la camera di sicurezza per accedere allo spazio dove era confinato l’elemento energetico. «Mi senti?» la sua voce risuonò dalla filodiffusione nel laboratorio. Beppe annuì silenzioso, con la bocca spalancata. «Lo vedi anche tu?» continuò Luigi «Stanno rallentando sempre più. Tra poco sarà possibile oltrepassarle senza rischi. Ormai sono più lente delle porte scorrevoli del supermercato e al di là c’è… il futuro!» «Ma Luig…». «Ci vediamo!» esclamò tuffandosi dentro il pozzo di luce. Beppe restò paralizzato. Muoveva solo la bocca, ma senza emettere suoni. Dopo quasi dieci minuti, un ronzio finalmente lo scosse. Il tablet. Lo afferrò e vide sullo schermo il pop-up di una mail appena ricevuta. L’aprì. “A mOrte per certo. Sorry for my fucking bad italian. Bye. Rudolph”.
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