Commenti sparsi
Dentro di te di Filippo Santaniello
Niente male, davvero… oooops; molto molto male, quasi satanico!
A parte gli scherzi, un ottimo horror, brevissimo come richiesto. Scrittura lucida, attenta, adeguatissima alla situazione narrata. Ottime alcune frasi tipo: dallo sfintere del Vaticano. O ancora: Era notte, pioveva e le gocce sul vetro facevano rumore d’olio che sfrigola sulla padella.
E poi devo dire, a tuo merito, che raramente ho visto un utilizzo così efficace della seconda persona narrante. Spessissimo ho invece letto autentici pasticci, visto che si tratta di una scelta sempre difficile. Complimenti anche per questo.
Giusto per cavillare un po:
l’impermeabile zuppo d’acqua… se è impermeabile non dovrebbe esserlo, a meno che non sia di pessima qualità. Forse solo… bagnato.
La frase: e per questo l’ha piantato nella schiena del prete che ha tossito un fiotto di sangue e ti è crollato addosso. Sembra quasi (a una prima lettura ho creduto così) che lo infilzi col crocifisso, cosa difficilissima perché la base non è appuntita, di solito. Credo tu intendessi che lo colpisce e in seguito al colpo (ai polmoni, credo) gli fuoriesce un fiotto di sangue. Allora meglio utilizzare il verbo – schiantato o ha colpito – o un altro equivalente al posto di Piantato.
Come vedi pochissimi rilievi di scarsa importanza.
In definitiva un ottimo lavoro, uno dei migliori. Anche il finale è efficace e perfettamente adeguato alla situazione; non si tratta del grande ingannatore? Il prete sa perfettamente che col diavolo non si deve dialogare, insomma non si può dargli corda, ma il padre no, e proprio lì lui agisce.
Vero fin dall’inizio di Marco Migliori.
Non lo so… io ci ho capito poco o niente. Praticamente nulla. Credo che l’ultimo paragrafo debba essere illuminante, ma continuo a brancolare nel buio. Che dire? Rileggo, ma mi sento sopraffatto da cose che non comprendo e alle quali faccio un’estrema fatica a rapportarmi.
Io sono per le storie “dirette”. Certo il lettore deve dare del suo, ma non si possono pretendere sforzi eccessivi. Credo che lo scrittore debba comunque fornire il meglio di sé anche nella ricerca della comprensione fra lui e chi lo leggerà.
Insomma, non sono tanto per lo sperimentalismo. Diciamo che con me Joyce non avrebbe venduto molto…
Come noccioline di Angelo Frascella
Carino, surreale accattivante. Un vecchio lettore di Snoopy non può non apprezzarlo. A quei tempi era un rivista di buon formato con fumetti eccellenti; qualcuno si ricorda di Pogo? Mi ha lasciato un po’ perplesso la battuta conclusiva. Non si capisce per quale motivo senza di loro finirebbero sgranocchiati come le noccioline che in realtà sono. Ma credo che la battuta finale serva più che altro per fare capire meglio chi sono, loro.
Non noto particolari refuso né errori. Giusto per cavillare un po’ metterei i due punti nella frase - È iniziata con la comparsa di fogli con la scritta (due punti) era una notte buia e tempestosa.
La traccia è rispettata al 100%, anzi si rifà proprio alla traccia medesima come meglio non si potrebbe.
Ci sono parecchi riferimenti, non solo ai Peanuts, e forse questo rappresenta un po’ il limite del tuo lavoro. Le generazioni più recenti potrebbero restare spiazzate.
La clinica di Giuseppe Roncati
Anche in questo caso si va dritti dritti sui Peanuts. Tuttavia il testo è di difficile comprensione. Non si capisce cosa accade e per quale motivo succede.
Ho letto le note in formative, insomma le spiegazioni, ma credo che se uno scrittore DEVE spiegare cosa ha scritto, be’, da un certo punto di vista penso abbia fallito la sua principale missione, quella di raccontare una storia.
Credo che il tuo errore sia stato proprio quello di volere mettere in scena “un significato”, un concetto, un pamplet, se vogliamo. Ed è questo che non va bene. Prima viene la storia, poi, se si vede altro, allora si può cercare di lavorarci ulteriormente allo scopo di valorizzarlo. In questo la penso al 1OO% come il sign. King.
Cito la tua citazione:
Il giovane interno sedeva solo in un angolo del caffè. Aveva imparato la medicina, ma, ciò che è più importante, aveva imparato qualcosa sulla vita.
Bene, no, perché tu ce lo dici, ce lo scrivi, ma non ce lo mostri. In effetti penso che tu abbia ragione quando sottolinei che si tratta di un progetto troppo grosso per soli 3333 caratteri; semplicemente fa una fatica terribile a starci.
Di notte di Viviana Tenga
Prima alcune note tecniche.
Ci sono alcune ripetizioni e qualche forma sbagliata.
- se si fosse addormentata in quel momento avrebbe FATTO un incubo – avrebbe avuto un incubo.
la decisione di andare a vivere da sola in quel monolocale. Se solo ci fosse stato qualcun altro in casa, anche solo coinquiline – solo-sola ripetuto tre volte
- si sarebbe sentita più al sicuro. Da cosa non lo sapeva, ma più al sicuro. – sicuro ripetuto.
Anche l’espressione: un’amica di amici, non mi entusiasma.
Poi passiamo al plot. Che dire… una ragazza vive sola e sente dei rumori provenire da un altro appartamento. Resta ancorata ai suoi sogni e non se ne cura. Il mattino dopo scopre che una donna stata uccisa, ma lei sembra avere rimosso tutto.
Non so, non mi dice molto. Tutta la vicenda mi ha lasciato piuttosto freddo. Anche la forma (le cose che ti ho evidenziato) non mi entusiasma.
Anche il ragionamento sul fatto che una notte tempestosa deve essere per forza buia appare solo come un modo per agganciarsi alla traccia, ma già c’eri, no? E non sembra rientrare nel cuore della vicenda.
Forse (così la vedrei io) se nel suo sogno lei avesse vissuto qualcosa di simile. Un ex che la minaccia e tenta di ucciderla e quasi vi riesce. Poi al mattino scopre che una vicenda simile era davvero accaduta. Ecco, questo mi avrebbe dato un senso maggiore alla storia. Ma si tratta di un parere mio personale.
Hariel ama il vento di Raffaele Marra
Non c’ero arrivato subito: Hari-el, col suffisso el che potremmo riassumere in ebraico – di Dio, così come termina il nome di quasi tutti gli angeli.
E così ero pronto a criticarti per quel tono alto e un po’ enfatico col quale avevi incominciato la narrazione. In particolare mi “puzzava” quella frase: affinché ella lo consoli. Temevo il classico racconto di chi crede di fare poesia e prosa utilizzando una dose esagerata di steroidi letterari.
Poi subentra un altro personaggio. La situazione e il tono cambiano.
E poi il finale, perfettamente coerente. Lì si capisce tutto e ci sta che un angelo possa esprimersi in un tono e un linguaggio superati.
Buona idea! La traccia è rispettata. Non male il salvataggio (involontario) da parte dell’influsso angelico.
A proposito, anche tu possiedi il nome di un angelo: Rafa-el.
P.S.
Anche il mio nick… Reh-el
La donna e il ragazzo con un occhio solo, Alessandra Corrà
Racconto molto particolare. All’inizio sembra quasi un sogno. Purtroppo il limitato campo d’azione, intendo i pochi caratteri a disposizione, ti hanno costretto a una forma narrante troppo descrittiva e poco raccontata, poco mostrata, poco messa in scena, insomma. Gli eventi si susseguono con un tono un po’ monotono, ma ripeto, credo che questa storia abbia necessità di maggior spazio, di più respiro per potersi districare in maniera efficace.
Nel finale mi sono chiesto se la medium possa danneggiare lo spirito dell’uomo. Gli dice che ha sbagliato e che in realtà sono solo le sei, come se la cosa potesse danneggiarlo… se è così, non è chiaro come. Quale è il destino a cui lei lo abbandona?
Singolar tenzone, di Marco Fronzoni
Credo ci sia un refuso, prima balok e alla fine Bolak. Traccia comunque rispettata.
Il mio problema è che cominciano a essere tanti i racconti nei quali uno dei personaggi ha un tumore e la cosa alla lunga diviene non dico noiosa, ma poco interessante.
A contribuire al calo di interesse giunge la frase: Come va, signora? La morfina è sufficiente? – Ecco, mi suona inadeguata. Forse perché proprio in questi giorni c’è una polemica sulla necessità di ridurre la terribile trafila burocratica che devono compiere i medici per potere somministrare ai malati terminali i palliativi antidolorifici necessari a non morire come cani rognosi. Oppure perché mi ci sono trovato in mezzo e ho dovuto utilizzare (non io, non sarei qui) alcune scatole ottenute di straforo.
In questo caso c’è il tentativo di rianimare il tutto utilizzando una buona trovata, anche se mi pare già utilizzata in qualche film o videogioco, di mostrare in parallelo la lotta dello spirito del padre che cerca di non morire in una singolar tenzone, duello che poi avrebbe il suo risvolto nella vita reale. Insomma una sorta di trasfigurazione che tuttavia non mi ha appagato. Me ne chiedo i motivi, anche perché una critica deve essere costruttiva e cercare di offrire consigli per migliorare una storia, ma non riesco a definirli…
Gocce di memoria di Francesco Nocera
Anche qui si tende a essere troppo criptici. D’accordo che non bisogna dire tutto, ma il lettore vorrebbe anche non diventare scemo per capire una storia, no?
L’ambientazione è poco chiara. Sembra la seconda guerra mondiale, ma si avverte qualcosa che sembra indicare un’epoca diversa.
C’è una frase a dir poco sibillina:
…come sempre, c'era Rachid in uniforme. Ma quello era un ricordo, di un passato lontano, legato al tempo dei giochi…. Quali giochi?
E poi i dialoghi mi suonano “strano”. A volte un po’ sintetici, a volte criptici.
Esempio:
«Mi fai schifo. Mi fate schifo tutti.» Ada sfilò la giacca e la gettò a terra. «Domani parlerò con degli amici. Ti conviene andartene.»
Ecco, questo dialogo appartiene a un repertorio piuttosto abusato, o almeno tale è l’impressione che io ne ricavo.
Oppure ancora:
«Perché a te piace questa casa!» Una affermazione che non si capisce a cosa si riferisca né cosa la provochi.
Così tutta la storia si legge con un interesse che scema mano a mano che si procede nella lettura. E anche la frase finale di chiusura suona piuttosto debole.
Classifica
1 – Dentro di te di Filippo Santaniello
2 – Hariel ama il vento di Raffaele Marra
3 – Come noccioline di Angelo Frascella
4 – La donna e il ragazzo con un occhio solo, Alessandra Corrà
5 – Singolar tenzone di Marco Fronzoni
6 – Di notte di Viviana Tenga
7 – La clinica di Giuseppe Roncati
8 – Gocce di memoria di Francesco Nocera
9 - Vero fin dall’inizio di Marco Migliori.
Una considerazione finale.
Praticamente tutti quanti, io per primo, abbiamo utilizzato la traccia (la notte buia e tempestosa) come uno sfondo dove ambientare le nostre storie.
Tutto bene, traccia rispettata, ma credo avremmo dovuto fare uno sforzo maggiore e fare della notte buia e tempestosa, in qualche modo, la protagonista.
Difficile, lo so, ma sarebbe stato interessantissimo e forse avrebbe potuto produrre storie migliori. E ancora lo ripeto, se questo è un peccato, allora io sono stato il primo peccatore.