| Praga Anno Domi 1547 di Giuseppe Agnoletti (rehel)
Il pensiero gli venne così d’improvviso che restò del tutto senza fiato. Era o non era lui un Rabbi, a conoscenza anche della Kabbalah e in particolare dei poteri legati al nome di Dio? La cosa era nel novero delle sue capacità. Dunque, cosa aspettava? Il tuono che squassò il cielo cadde come una conferma alle sue intenzioni. Fuori si era scatenato il finimondo, una notte da tregenda, l’ideale per agire, nessuno avrebbe sentito rumori, gemiti e grida. Corse fuori in giardino. La pioggia lo investì come una mazzata. Ma lui non ci fece caso, carico com’era di sacro fuoco creativo. Con la vanga tranciò lo strato superficiale di erba e mise alla luce, frase eufemistica, visto che era notte fonda, lo strato sottostante di argilla. Affondò le mani e cominciò a riempire i secchi di legno. Rientrò in casa mezzo morto di freddo. Si spogliò e si mise accanto al fuoco. Poi si fece forza. Non aveva molto tempo. L’operazione era complessa, lunga. Si rivestì con abiti asciutti e dispose la materia grezza sul tavolo. Il rabbino Jehouda Löw si raccolse in se stesso per una breve meditazione. Prese il testo Sefer Yetziran, che risaliva alla sapienza di Avrahm e che si distingueva per la sua esegesi sui segreti dell’alfabeto ebraico, delle Sefirot nel legame con l’anatomia del corpo umano, con i pianeti e con i mesi, giorni e segni zodiacali. Queste tre figure, l'uomo, il mondo e l'anno, rappresentavano tre testimoni completi. Il maestro che voleva formare un Golem si serviva delle lettere ebraiche. Il Golem era dotato di forza straordinaria. Ubbidiva solo al suo creatore, senza discutere, con dedizione assoluta. Una specie di schiavo, tuttavia dotato di capacità di pensiero, di provare emozioni, seppure privo di anima. Nessuna magia fatta dall’uomo sarebbe stata in grado infatti di rendergliela. Ci vollero ore, mentre fuori la tempesta sembrava non avere fine. Jehouda assemblò l’argilla in una massa antropomorfa senza alcuna particolare armonia, del resto non era necessario che fosse bello, solo efficiente. Pronunciò le formule di rito, ma quando si trattò di scrivere sulla fronte le parole adatte si fermò. Si narrava che anni prima un sapiente rabbino cominciasse a creare golem per sfruttarli come suoi servi, plasmandoli nell'argilla e risvegliandoli, scrivendo sulla loro fronte la parola verità. C'era però un inconveniente: i golem così creati diventavano sempre più grandi, finché era impossibile servirsene. Così il mago ogni tanto li eliminava trasformando la parola sulla loro fronte in morte; ma un giorno perse il controllo di un gigante, che cominciò a distruggere tutto ciò che incontrava. La faccenda non andava bene. Sua moglie lo aveva lasciato per seguire un ricco e avvenente mercante veneziano. Poco male, visto che col tempo lei si era trasformata in una sagace sminuzza coglioni. Il problema era la conduzione della casa. Cucinare, lavare, stirare, insomma le cose del più becero quotidiano. E visto che lui, Jehouda, pur essendo provvisto di un formidabile appetito, non aveva nessuna inclinazione per tali risibili bassezze, ecco che si era attivato col Golem. Restava una cosa da fare. Fuori si avvertì l’ultimo debole tuono che brontolava in lontananza affievolendosi. Prese uno stilo e avvicinò la mano alla fronte. Quale nome apporre all’essere? Una breve incertezza poi scrisse: menù di oggi.
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