Nero Cafè Forum

Anche l'Inghilterra, di "Marco Migliori"

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sgerwk
view post Posted on 25/11/2014, 00:58 by: sgerwk




— Non lo sai, eh? — Yakahari gli aveva artigliato il braccio con le sue dita ossute da quando erano scesi dal taxi e il signor capoufficio signor Natomo era sparito nel vicolo. — Dove stiamo andando? Dai, prova a indovinare.
Kao guardò in alto, come se grattacieli illuminati potessero ancora interessarlo.
Yakahari lo tirò per il braccio, costringendolo a guardarlo. Quel viso scavato, con quella costante puzza di sigaretta, gli avevano sempre fatto schifo. — Un'isola è un'isola solo se la guardi dal mare.
— Eh?
— Se non arrivi al mare neanche ti viene in mente. L'Inghilterra è un'isola, ma se sei a Londra nemmeno ci pensi. Anche qui. — Indicò intorno. — Ti sembra un'isola, questa?
L'ennesimo scherzo per il novellino. L'ultimo arrivato dell'ufficio adesso avrebbe detto qualcosa per far ridere i colleghi più anziani. — Mh.
— E dove lo vedi, il mare?
Risero. Non c'era davvero bisogno che dicesse qualcosa.

*   *   *


Il soffitto era basso da toccarsi con la mano. L'aria sapeva di chiuso e di sudore. Il letto su cui sedeva la ragazza occupava quasi tutta la stanza, arredata solo dal lungo attaccapanni arrugginito da parete.
— Allora? — chiese Yakahari. — Che ne pensi?
Kao dovette trattenersi dal corrugare le sopracciglia. Quella ragazzina dalle gambe magre e storte che spuntavano da sotto la gonna a fiori sollevata, con quel petto piatto e quello sguardo perso e la bocca semiaperta, quella era la prima scelta del loro capoufficio, il signor Natomo?
Dalle labbra immobili uscì una voce stridula. — Ma cos'è?
Yakahari strinse la mano sul braccio di Kao. — Sentito?
Kao non riuscì a rispondere. Che voleva dire?
— Sembra un muro — continuò la ragazza. — Prima non c'era. Non è liscio.
Erano tutti girati verso di lei, ora.
— Guarda, qui ci sono tre buchi. Ma cosa? Ehi, fammi vedere! Zitto! Via, via!
La stanzetta tornò nel silenzio.
Il signor Natomo appese la giacca a uno dei ganci. Kao avrebbe fatto il possibile per non rovinare i suoi abiti con il contatto con quel ferro arrugginito, ma per il capoufficio sembrava una cosa normalissima.
— Sei fortunato — disse Yakahari. — Certi vengono qui tutte le sere e nemmeno una volta hanno sentito niente.
— Signori. — Il capoufficio teneva una mano sul nodo della cravatta.
— Sì, sì. — Yakahari spinse Kao verso la porta azzurro scrostato della stanza. — Hai sentito, Kao? Il signor Natomo ha detto di uscire. Sei stato fortunato che intanto ti abbia fatto conoscere la ragazza universo.
— La...?
Erano già fuori, nello stretto corridoio male illuminato del seminterrato. — La ragazza universo. La chiamano così perché dentro ha un intero universo. È così grande che quelli dentro nemmeno se ne accorgono, molti neanche sono mai arrivati al bordo. E se non arrivi al mare non ti accorgi che sei su un'isola.
Erano usciti tutti, tranne il signor Natomo. La porta azzurra era chiusa.
— Ma poi non lo capiscono nemmeno loro. Perché un'isola la vedi solo da fuori. Sennò è solo una spiaggia: mare davanti e terra dietro. Come quando vai in vacanza a Osaka.
— Sì, certo.
Lo stavano fissando, tutti e quattro gli altri impiegati.
Kao sapeva cosa aveva visto. E non era un universo dentro una ragazza. Il signor Natomo, l'onorevole capoufficio. si divertiva ad andare con una povera malata di mente.
Strinse le labbra. — Certo. E come lo sappiamo, che dentro c'è un universo?
Yakahari alzò le spalle ossute. — C'è chi ha parlato con certi che sono arrivati al confine.
Kao scosse la testa. — E come ci sono finiti dentro, quelli?
— Ma che ne so! — Yakahari alzò le braccia. — Saranno stati inglobati. Li ha inghiottiti! Li ha risucchiati.
Kao scosse la testa. — Vado a prendere un po' d'aria. Tanto sarei l'ultimo.
Percorse il corridoio ignorando le risatine alle sue spalle. Girò a destra. Non era da lì che erano venuti?
Quella parete prima non c'era. Non era nemmeno del colore bianco sporco delle altre. Questa era irregolare, con due buchi tondi a metà altezza e uno allungato in orizzontale sotto.
Kao trattenne il respiro. Attraverso quelli, vedeva un soffitto basso, un attaccapanni arrugginito, una porta azzurro scrostata. E il viso del signor Natomo.
 
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