| Trascinare un cadavere su un tacco 12 è un inferno. Miss Dyvina si fermò. Sudava, e il mascara le colava sul viso. Trucco waterproof un cazzo. Guardò a terra e gli occhi spalancati di Graziano la fissarono in risposta. Miss Dyvina gli diede uno schiaffo. La testa del morto ruotò, la lingua tumefatta uscì dalla bocca. Graziano, vecchio puttaniere, perché non sei andato dalle tue rumene minorenni? Miss Dyvina si guardò attorno. Il vicolo era vuoto a quell’ora della notte, a parte i ratti grassi e lustri che banchettavano con i rifiuti. Qualche macchina passava sulla strada principale, ma quegli stronzi erano a caccia di donne, nient’altro. Quanti, di quei padri di famiglia, si erano sgravati la coscienza confessandole sesso con ragazzine più giovani delle loro nipoti? Meglio i ratti del vicolo. Miss Dyvina afferrò Graziano per la giacca, e riprese a trascinarlo, piegata se stessa. La parrucca rischiò di cadere e lei la sistemò con la mano laccata, una imprecazione tra le labbra rosse. L’aveva notato in mezzo al pubblico al suo secondo pezzo. Lui l’aveva riconosciuta: aveva visto il porco sgranare gli occhi. Aveva steccato il resto di Maracaibo. Mai stata brava con le sorprese. Quando, su The Stripper, l’aveva visto sorridere, aveva capito che era fottuta. Al banco del bar, dopo lo show, Graziano l’aveva fissata: tette e culo, più che in viso. Miss Dyvina aveva bevuto il suo daiquiri, leccandogli la cannuccia davanti agli occhi allucinati. Il porco era così eccitato da balbettare. Lei gli aveva proposto il vicolo, dopo la serata, e Graziano le aveva infilato una mano tra le cosce. Aveva ingoiato amaro, sorriso ed era tornata in camerino. Miss Dyvina urtò il cassonetto col sedere. Sbuffando, afferrò il cadavere e se lo issò su una spalla, premendo il pedale per aprire il portello. Sentì un fetore di carne marcia e uno squittio irato. Graziano le era saltato addosso subito. Farsi miss Dyvina in un vicolo sudicio lo eccitava, aveva detto. Lei aveva lasciato che quelle mani sudate la palpassero, mentre una lingua fetente le si infilava in gola. Aveva portato il maiale fuori vista, e lo aveva strangolato. Graziano l’aveva afferrata per le natiche, sfregandosi contro di lei mentre lei lo soffocava. L’aveva visto esplodere in un orgasmo prima che gli occhi gli uscissero dalle orbite. Erano crollati a terra e lei aveva stretto quel collo schifoso per altri dieci minuti. Un ultimo sforzo, e il corpo cadde con un tonfo flaccido sul letto di marciume. Vai all’inferno, maiale. Si segnò, e chiuse il cassonetto. Sistemò parrucca e vestito. Giusto il tempo di tornare in canonica e cambiarsi. Era quasi ora di aprire per le Lodi.
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