Cicatrice
«Apri quella cazzo di porta,» urlo, mentre sento l'acqua scendere veloce. «Non farlo.»
Pregare Dio? Se gli fosse importato qualcosa, non avrebbe lasciato che tutto questo accadesse. Non avrebbe permesso che mettessi in cinta Laura.
Il respiro calmo, lo sguardo distante, con tono freddo Laura mi spiegò la causa della cicatrice, una linea rossa e decisa che le tracciava una linea dall'ombelico al pube: «Corpo luteo emorragico.»
Era la prima volta che scopavamo. Io, giovane coglione, malgrado la sua freddezza, la distanza dettata da regole taciute, note solo a lei, ero già cotto di brutto.
Di cosa si trattasse, non lo sapevo. Delle puntate di E.R. Medici in prima linea dimenticavo sempre tutto. Potevo intuire che era qualcosa di brutto. Fino a là ci arrivavo.
«Mi fecero tredici punti.»
«Quanti anni avevi?»
«Troppi pochi» disse lei, voltandosi a guardare Roma attraverso la finestra. Poi, come annoiata dalla propria biografia, avvolse la mano attorno al mio uccello.
Per quanto infatuato, non potevo immaginare che di lì a un anno sarebbe divenuta mia moglie.
E, soprattutto, ignoravo che la cicatrice di Laura non sarebbe mai invecchiata.
Il sangue mi cola giù per le dita, sul pavimento. I tagli del coltello non bruciano. La carne non fa male: troppa adrenalina nel corpo per sentire qualcosa. Tentare di fermarla è stato inutile.
«Ascoltami,» le urlo, forte, fortissimo, al punto da perdere la voce per un istante.
«Tu non capisci,» risponde lei, secca.
«Possiamo affrontare questa cosa insieme.»
«Sapevo che sarebbe tornato.»
«Non è così,» ribatto. «È qualcosa di bello, credimi.»
La sua cicatrice non invecchia. Non può farlo. Non mi ci volle troppo per accorgermene. Pochi mesi. Eppure la cotta diventò presto di più: la ragione per cui avrei dato tutto pur di averla vicino.
Laura si tagliava. C'era qualcosa di estraneo in lei, mi disse poi, dopo aver insistito per sapere la ragione perché si faceva male. C'era qualcosa che non le apparteneva. Che cresceva. Che doveva eliminare. Da piccola era stato il corpo luteo emorragico. Altre volte era stato altre cose, anche immaginarie. Ora, però, è nostro figlio.
Do una spallata.
Inutile.
Un'altra.
Nulla, cazzo. Nulla!
Continuo a urlare, non so nemmeno io cosa. Ma sento il sapore salato delle mie stesse lacrime.
Quando Laura apre la porta è tutta insanguinata.
«No,» dico, un attimo prima che lei perda i sensi.
«Ci sono voluti tredici punti di sutura,» dice il medico, un tipo tanto giovane che fatica a sostenere il mio sguardo, per imbarazzo. «C'è qualcosa di cui-»
«-no,» lo interrompo. «Ho perso mio figlio. Ho rischiato di perdere pure mia moglie. Mi lasci in pace.»
«Mi spiace,» dice, facendo due passi indietro, mentre un poliziotto invece si avvicina.
Penso a lei.
E la amo.
Penso al figlio che mi ha tolto.
La odio.
«È stata lei,» dico, senza sapere bene quale dei due sentimenti motiva le mie parole. «Dovete rinchiuderla in un manicomio.»
Il poliziotto scuote la testa. «Sua moglie invece dice di essere stata aggredita.»
«E da chi?»
Sono anni che non viene a trovarmi al Regina Coeli. In carcere. Ogni notte sogno di poterle scucire quei tredici punti, con le mani. Coi denti. Lasciarla sanguinare. Quando la odio, spero che qualcuno l'abbia fatto al posto mio.
Quando la amo, mi manca.
Edited by RobertoBommarito - 27/6/2012, 00:12