| Fermo sulla soglia, guardava i commensali che si aggiravano frenetici all’interno della grande sala. Ebbri dell’atmosfera di festa, si salutavano calorosamente intrattenendosi in goliardate e allegre discussioni. «Ehi, cosa ci fai lì immobile come uno stoccafisso?» lo chiamò Andrea «Vieni qui e ascolta un po’ che storia ha sentito Simone mentre lavorava in cantiere». «Sì, arrivo subito» rispose rivolgendo all’amico un sorriso e un vago cenno con la mano, con cui intendeva prendere tempo. Si diresse dunque verso il centro del locale. C’era un’energia portentosa nell’aria, riusciva a percepirla nitidamente, la giusta carica per dare inizio a un progetto grandioso. Certo, erano in tredici e già di per sé quel numero rappresentava un po’ una sorta di sfida al destino, alla tradizione, ma del resto, non era forse proprio quello che si erano sempre prefissati di fare? Cambiare tutto, ribaltare ogni prospettiva, squassare dalle fondamenta pregiudizi e ideologie. «Oh, eccoti finalmente» e fu cinto per le spalle da un abbraccio «Meno male che sei arrivato, non si sarebbe saputo come pagare altrimenti» e scoppiarono a ridere, lui e gli altri tre che si erano ritrovati ad assistere alla scena. Per anni si era sentito un’anima solitaria, perduto in un desiderio di cambiamento che non trovava né sbocchi, né le giuste premesse. Ora invece tutto si dipanava ordinato e pianificato, come il fluire di un fiume all’interno di un alveo. Anzi, proprio quel numero che erano poi, tredici, così inquietante e al contempo intrinsecamente rivoluzionario, si era presentato ai suoi occhi come l’ultimo tassello del mosaico, quasi una brusca spinta ad avviarsi sul sentiero del destino preparato per lui. «Gradisce rinfrescarsi un po’, signore?» e senza neppure accorgersene, si ritrovò seduto coi piedi a mollo nell’acqua fresca. «Potrei avere anche un calice di…» «Eccolo». «Bevi pure» lo appuntò da lontano di nuovo Andrea «L’importante è che poi non cominci a parlare di politica!» «O peggio, di sport!» completò il pensiero Simone. Era sereno. No, davvero: era in pace. Si frequentavano da ormai tre anni e lui non aveva dubbi sul fatto di poterli chiamare uno per uno ‘amico’, ma che dico ‘amico’, li sentiva come fratelli. Forse il fatto di essere in tredici gettava appena un po’ d’ombra su tutta quella sovrabbondanza di positività, perché è vero che poteva essere un tratto distintivo, un elemento di originalità, di discontinuità dal pensiero comune, però l’essere unici non era mai stato un fardello facile da portare a lungo per nessuno. Comunque, presto tutto sarebbe cambiato. La nuova era stava per avere inizio. Tredici e non più tredici, distrutto e ricostituito. Si asciugò i piedi, si alzò e scrutò la sala, cercando tra i volti fino a trovarne uno in particolare. I loro occhi si incrociarono e un brivido lo colse, come ogni volta. Si avviò districandosi tra saluti e sorrisi, pacche e urla gioiose fino a raggiungerlo al tavolo dove stava seduto insieme a un paio dei loro compagni. «Eccomi, scusa il ritardo» esordì. L'altro sollevò nuovamente lo sguardo, incontrando e trattenendo a lungo il suo, e con un sorriso che come sempre gli scaldò il cuore, rispose «Giuda, non preoccuparti, nulla sarebbe mai potuto iniziare senza di te».
|