| Quando giocavamo nel bosco di Giampaolo Cufino
Ritornando a casa, mi accorsi di essermi smarrito nel bosco che stavo attraversando da un tempo indefinito ormai, stava scendendo il tramonto e io non sapevo come uscire da quella boscaglia un tempo a me così familiare. Da piccolo ci passavo per giocare e poi tornare a casa e adesso, dopo tanti anni mi ci ero perso, come se mi trovassi in un luogo a me sconosciuto. Cercai di tornare indietro, prendendo un vicolo a destra e viceversa, ma mi sembrava di girare a vuoto, che il bosco ormai si muovesse con me. Avvertivo tutto ciò come un gioco infantile e proprio questo, forse, accrebbe la mia paura. Gridai qualche nome a caso, ma un’eco lontana accompagnava la mia voce intimorita. Tornavano in mente tutti i pensieri brutti che riguardano i boschi: omicidi, riti diabolici, favole che ascoltavi da piccolo che non ti facevano dormire. Il tramonto era nel pieno fulgore, come il mio sentimento di panico, ogni piccolo rumore si amplificava nel mio cervello pulsante. Iniziai a correre, ma mi sentivo sempre più in trappola, mi sembrava di scorgere il mio casale tra i fitti alberi, ma rimanevo sempre alla stessa distanza, come se il bosco corresse con me. Erano tracce di sangue quelle che mi ritrovavo davanti? Non lo so; la fatica non mi faceva più ragionare, mi girava la testa, mi sembrava di correre a vuoto. Mi fermai chino a respirare affannosamente. E quando farà buio? Mi domandai; ero fermo e mi guardavo intorno, muovendo la testa a scatti, uno scintillio attrasse la mia attenzione, mi avvicinai: un coltello? Sì, uno di quei coltellacci da cucina…lo raccolsi, ma lo lasciai subito cadere, spaventato da un’immagine che per un attimo attraversò la mia mente, ripresi la lama da terra e ricominciai a fuggire di corsa, deciso ad affrontare qualsiasi maniaco avesse tentato di aggredirmi. Dopo un po’ inciampai e caddi rovinosamente tra le erbacce, mi girai subito per trovare il coltello e davanti a me di colpo apparve una piccola capanna. La capanna dove ci nascondevamo da piccoli…quel pensiero mi calmò per un attimo, ma adesso, in quella situazione, quella capanna aveva un non so che di minaccioso. Perché tutto quello che da piccoli ci godiamo spensierati, da grandi ci fa così paura? A dieci anni non me ne fregava niente di perdermi nel bosco, anzi ci nascondevamo tra di noi e se trovavamo una capanna come quella che ora mi ritrovavo davanti, ci facevamo la nostra casa, il nostro quartier generale per giocare a “nascondino” o a “guardie e ladri”. Mi alzai, con il coltello in mano e decisi di entrare nella capanna. Chissà da quanto tempo non ci veniva nessuno…la porta cigolava mano a mano che si apriva, dentro era completamente buio anche perché ormai il tramonto stava cedendo il posto alla luce fioca della sera. Ogni passo che facevo nella capanna era accompagnato da un flash che mi entrava nella testa come una lama…la lama del coltello che tenevo in mano, che nel silenzio più assoluto mi rivelava il suo gocciolare. Mano a mano che la vista si abituava al buio, mi apparve l’interno della capanna, un tavolaccio con delle sedie, delle travi dal soffitto; da una in particolare pendeva qualcosa. Mi avvicinai tremante, strinsi il coltello forte con tutte e due le mani. Dal soffitto pendeva impiccato il corpo accoltellato della mia fidanzata. Urlai come un pazzo e uscii di corsa dalla capanna, mi fermai di colpo e mi specchiai nella lama luccicante e grondante sangue del coltellaccio. Come in uno schermo vidi il film dell’omicidio che avevo compiuto. Avevo ucciso a coltellate la mia ragazza…come i giochi che facevo da bambino, il bosco aveva giocato con la mia mente, liberando il maniaco imprigionato in me. Trovai l’uscita finalmente e il sentiero che mi avrebbe portato verso il casale. Ma notai al margine del piccolo viale una coppia appartata in macchina, avevo ancora in mano il coltellaccio insanguinato, lo avevo portato con me senza rendermene conto, il bosco voleva ancora giocare…
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