Farfalle
Con un movimento secco, Jake schiacciò la zanzara che aveva sul collo. La serata prometteva di essere torrida quanto il pomeriggio e le rive del Mississipi erano una vera cuccagna per parassiti succhiasangue e coppiette in cerca di intimità.
«Forse è meglio tirar su i finestrini», suggerì Becky, non più così coraggiosa come quando le sue amiche l'avevano sfidata a uscire con lo scemo della scuola. La scusa che Jake usava di solito per tentare di rimorchiare era talmente ridicola da diventare oggetto della loro scommessa: Becky avrebbe dovuto verificarla e portare delle prove.
«Sicura?»
«Beh, se non vogliamo essere mangiati vivi...»
Il ragazzo, un meticcio con un'ampia stempiatura nonostante i diciassette anni, fece una risata gutturale e azionò gli alzacristalli.
«E magari accendiamo questa», aggiunse Becky, allungando una mano verso l'interruttore dell'aria condizionata. Così raffreddiamo anche i bollenti spiriti, aggiunse tra sé e sé. Aveva a portata di mano il cellulare, ma voleva chiedere aiuto solo se necessario: non avrebbe perso quella scommessa.
«Ok.»
«Senti, ma è vero quello che dici in giro? Che hai una meravigliosa collezione di farfalle?»
Il volto del ragazzo si illuminò e le labbra si piegarono in un sorriso idiota. «Oh sì! Meravigliosa davvero!»
«Me la faresti vedere?»
Jake aveva guidato lungo l'Old Spanish Trail fino a dopo Paradis e si era fermato davanti a un'anonima casa a due piani, poco lontana dalla statale 631. Nonostante l'ora, Becky aveva notato lo stato in cui versava il giardino davanti all'edificio: sterpaglie ammucchiate qua e là, sacchi della spazzatura e un paio di altalene che davano l'idea di non essere utilizzate da una vita.
«È casa tua?»
«Come?» fece Jake. «Oh, no, no. È di un amico di papà, ma si è trasferito in Europa per lavoro, da un po'.»
«Bella, l'Europa!»
«Dici?» chiese ancora, mentre la guidava verso la botola che dava sull'interrato.
«Beh, sì. Mi piacerebbe andarci. E a te?»
«Non so. Qui ho tutto quello che mi serve.»
La ragazza strinse con forza il cellulare, nella tasca dei pantaloni, rimpiangendo lo spray al peperoncino che le aveva offerto una delle sue amiche. «È da tanto che collezioni farfalle?»
«È una tradizione di famiglia. Siamo gli unici a usare questa tecnica di conservazione. Lo faceva mio padre, il padre di mio padre e così via fino a prima che arrivassero i conquistadores.»
Quando Jake fece scattare l'interruttore, l'interno della botola si illuminò a giorno. La scala portava a uno scantinato con una serie di scaffali ingombri di oggetti: a destra gli attrezzi da giardinaggio e quelli da bricolage, a sinistra una miriade di scatole e barattoli. A differenza del prato, l'impressione era che lì qualcuno avesse messo ordine da poco tempo.
Becky seguì il ragazzo. In fondo all'interrato c'erano due porte: una doveva senz'altro portare al piano di sopra, ma Jake si diresse verso la seconda. Fece appena in tempo a togliere il lucchetto che la teneva chiusa, che una ventata chiuse la botola da cui erano entrati, facendo sobbalzare Becky.
«Vado a fissarla», disse il ragazzo.
Attese che salisse le scale, poi si affacciò nella nuova stanza, pronta ad afferrare qualche esemplare e fuggire a gambe levate. Fu investita da una violenta zaffata di cuoio e per un attimo dovette riprendere fiato. Quindi accese la luce anche lì.
In mezzo alla stanza, un enorme bidone dal fondo bruciato conteneva un liquido nero e sporco. Alle pareti, bizzarri animali impagliati.
Becky li mise a fuoco un po' meglio.
La pelle scura e raggrinzita all'inizio l'avevano tratta in inganno, ma nonostante la taglia ridotta era ormai evidente che quelli non fossero animali, bensì esseri umani. Avevano lineamenti devastati, le gambe rattrappite e stupende ali colorate, appiccicate sulle schiene. E tutti parevano guardarla.
Portando le mani alla bocca fece un passo indietro, senza nemmeno riuscire a urlare, ma finì contro qualcosa, o qualcuno.
«Allora, ti piacciono le mie farfalle tsantsas?» le chiese Jake, mentre le serrava il collo.