Scatola
Le braccia incrociate, guardandomi col mento alzato come se volesse togliermi ogni importanza, rimpicciolirmi fino a farmi svanire, Ilaria sbotta: «Al diavolo.»
«Aspetta, porco Giuda» urlo, incespicando sulle sue valigie, davanti al portone che dà su Corso Sicilia.
«Sarei dovuta andarmene via prima» continua lei, «fanculo tu e tutte le tue minchiate.»
«Vuoi davvero saperlo?»
Rigida, i tacchi piantati con decisione sul marciapiede, non dice nulla.
«Va bene» faccio. «Dammi solo un minuto.»
Torno sopra, evitando l'ascensore, facedo le scale due a due, fino all'appartamento al secondo piano. «Tutto per una fottuta scatoletta» borbotto a me stesso, aprendo la porta. «Stronza.» Eppure l'unica certezza che ho è di amarla.
Lei è ancora nello stesso punto dove l'ho lasciata, quando torno sotto. A bordo della strada però ora c'è il taxi. In mano ho la scatola, quella che le dicevo conteneva il mio segreto più grande. Le mani mi tremano più della nostra fottuta lavatrice Ariston, vecchia e arrugginita.
Ilaria tace.
La apro.
«È uno scherzo?» protesta lei.
Fatta di latta, con sopra il logo scolorito della Coca Cola, me la sono tenuta sempre con me per ventidue anni, dai tempi quando da bambino mi guardavo attorno e non ridevo come gli altri. Non mi emozionavo con la loro stessa facilità.
Lei fa per salire a bordo.
«Non capisci?» dico. «È per questo che non volevo che vedessi cosa c'era dentro.»
«In quella cazzo di scatola non c'è nulla!»
«Appunto» le faccio. «Perché è così che mi sono sentito tutta la mia vita: vuoto.»
«Non è di quella dannata scatola che m'importa» dice lei. «Vorrei solo che tu smettessi di escludermi da tutto ciò che ti passa in testa.» Sospira. «Mi ami?»
E io non riesco a dirle che lei mi fa sentire qualcosa, a differenza di quando tenendo per mano gli altri bambini cantavo: «Giro giro tondo, casca il mondo.» Che
sento forse per la prima volta.
«Questo è ciò che sono disposto a fare per te: mostrarti questa dannata scatola» le dico. «Capisci?»
Lei tace.
Mi volto, incamminandomi verso il marciapiede.
Nausea. Verso me stesso.
Il taxi parte.
Mi volto per guardarlo. Ilaria è ancora lì, in mezzo alla strada.
Sorride.
Lo faccio pure io di riflesso.
Fa un passo verso di me, ma senza completarlo.
Una Toyota non frena in tempo.
E, mentre guardo Ilaria in preda alle convulsioni, il suo cervello sparso sull'asfalto, io stringo forte la mia scatola vuota. Fino a farmi male.
Edited by RobertoBommarito - 29/8/2012, 22:27