| La sala rimbombava di suoni e rumori, risplendeva di mille colori. Era la classica serata perfetta, risate, open bar, vestiti sfarzosi. Perfetta insomma. Troppo. Ho sempre avuto paura dei momenti perfetti. Ero sicura che prima o poi sarebbe arrivato qualcosa, o qualcuno, a distruggerli e a rovinarli: per questo sono sempre fuggita dalla felicità. Nonostante ciò, quella sera nessuna preoccupazione sembrava sfiorarmi. Nel preciso momento in cui ero entrata in quella sala, un senso di tranquillità mi aveva investita come una ventata d’aria calda e mi aveva fatto provare la sensazione di trovarmi in un altro universo, il mio. Tutto a un tratto quella sensazione di torpore e benessere svanì. Mi sentii afferrare lo stomaco da qualcosa che non riuscivo a definire. Mi sentivo spiata. All’improvviso mi accorsi che alcune persone erano sparite come se non ci fossero mai state, ed ancora più inquietante era il fatto che nessuno ricordasse la gente scomparsa. Pian piano la sala andava svuotandosi davanti ai miei occhi. Volevo urlare, correre ma non riuscivo a muovermi. Ero immobile, in preda al terrore. Mi sentivo colpevole per aver ceduto alla tentazione di abbandonarmi alla tranquillità e abbassare per poco la guardia su ciò che avveniva intorno a me. Mentre riflettevo osservavo. Notai due uomini ridere. Inizialmente non attirarono particolarmente la mia attenzione, ma pian piano crescevano di intensità fino a diventare così fragorose da risuonare echeggiando tra le ampie pareti della sala. Distolsi un momento lo sguardo. Fu un attimo. I due uomini erano scomparsi. Rimasi sconvolta. Respiravo a fatica. Cominciai a dubitare di essere lucida. Le domande si affollavano sempre più numerose. Immersa com’ero nella mia tempesta di dubbi non mi resi neanche conto di essermi addormentata. Improvvisamente mi ritrovai distesa su un prato verde ad ammirare un meraviglioso cielo stellato. La pace era assoluta. Non un rumore, non un movimento. Sembrava il paradiso. Improvvisamente cominciai a sprofondare. Terrorizzata tentai rimanere in superficie con tutte le mie forze, ma precipitai inesorabilmente. Il terrore mi impedì di rendermi conto di dove fossi. Pian piano ripresi coscienza e mi guardai intorno: ero seduta su un morbidissimo divano in una stanzetta buia. Non riuscivo a distinguere nulla se non una piccola abat-jour azzurra. Un’esile figura comparve. Non mi spaventai. Bensì una certa curiosità si fece strada dentro di me. La buia ed esile immagine si ingrandiva pian piano avvicinandosi. I suoi passi non producevano quasi alcun rumore. Sembravano dei fruscii. Finalmente la luce le illuminò il volto. Capelli lunghi, liscissimi e rossi, guance scarne, carnagione chiarissima. E su quel viso due sfavillanti zaffiri; c’era un che di magnetico in quello sguardo, un’attrazione che m’impediva di distogliervi l’attenzione. Mi sorrise. “Ciao Alexis.” Il mio nome pronunciato da quella strana ragazza mi fece trasalire. La sua voce era completamente l’opposto di come la immaginassi. Ero certa che fosse flebile, timida, debole; invece un suono chiaro, forte e deciso proveniva da quell’esile corpicino. “Il mio nome è Cassandra. Sono la custode del pianeta dei sogni. Un mondo che vive grazie ai desideri, alle speranze, alle paure e agli incubi degli esseri umani, nato e sviluppato a vostra insaputa. Il mio compito è quello di impedire che voi ne veniate a conoscenza. Se ciò accadesse la purezza delle vostre anime verrebbe macchiata. Nulla di tutto questo è razionale, in fondo anche la realtà è un’entità astratta. Vivete grazie alla nostra mente, è lei a guidarvi, la vostra essenza è contenuta in ogni singolo pensiero. Riconoscete come reale solo ciò che siete in grado di comprendere e vedere, ma come ben sai ciò che sei in grado di percepire è la parte più piccola dell’universo da cui sei circondata. Ho fatto in modo di parlarti perché non avevo altra scelta. Devo raccontarti una storia. Molti anni fa, esattamente durante il periodo della seconda guerra mondiale, era stata data una festa in una villa meravigliosa che sorgeva nello stesso luogo in cui oggi si trova quell’enorme sala. Si festeggiava in onore di una piccola bimba venuta alla luce; la serata fu memorabile ed ogni singolo invitato si divertì come non mai. Improvvisamente le truppe nemiche bombardarono l’edificio ed in poco tempo la villa fu ridotta in macerie. La mattina seguente nessuno fu ritrovato vivo. Per molto tempo quel luogo fu chiamato “la valle senza sorriso”. Nessuno, passando di lì per molti anni a seguire, fu più in grado di sorridere. Ciò cambiò però quando un giovane decise di costruire la sala, e pian piano tutti dimenticarono ciò che era avvenuto. Quel luogo diventò il più gettonato della città ed il ricordo della catastrofe svanì definitivamente. Gli angeli custodi dei morti innocenti giudicarono tutto ciò come un oltraggio a quelle povere anime, così decisero di far trascorrere, a chi festeggiasse in quel luogo, un’ultima serata indimenticabile. Dopo di ché gli sciagurati sarebbero stati portati nell’aldilà.” Ascoltai sbalordita. Un terribile presentimento iniziò a farsi strada nella mia mente. Alla fine della storia fu chiaro: non avrei mai più rivisto tutta la gente a cui volevo bene, vite di giovani sarebbero state buttate al vento per l’errore di altri in passato. Cassandra notò la mia agitazione e, proprio quando stavo per chiederle se ci fosse un modo per impedire tutto ciò, riprese il suo discorso:” Devi anche sapere che non sei l’unica sopravvissuta. Talvolta una o più persone venivano risparmiate dalla strage poiché possedevano una grande e ammirevole essenza spirituale. Adesso voglio farti una proposta, non obbligatoria ovviamente. Vorrei che rintracciassi gli altri sopravvissuti, e ti recassi con loro domani a mezzanotte scoccata sotto l’obelisco della piazza di Sant’Ambrogio, dove appariranno gli angeli. Non ho bisogno di una risposta immediata, mi renderò conto della tua scelta ascoltando i tuoi pensieri.” Detto questo, svanì. Mi svegliai dopo non so quanto tempo. Realizzai dopo qualche secondo di trovarmi nella mi stanza. Ogni cosa era esattamente come l’avevo lasciata qualche ora prima. Ero convinta che tutto ciò che fosse accaduto davvero, sebbene desiderassi con tutta me stessa che fosse il contrario. Solo dopo aver fatto una doccia mi accorsi di un foglio sulla scrivania. Lo afferrai impaziente. V’erano scritti nomi e dati di 5 persone. Mi resi subito conto di chi si fossero. Uscii di casa piena di speranze, ma purtroppo v’erano delle delusioni ad attendermi. Lessi il primo nome della lista: Agata Librucci, 60 anni. Grazie all’indirizzo mi recai a casa sua. Conobbi la sopravvissuta, ma nonostante tutti i miei sforzi, non riusciva a ricordare nulla riguardo una strana sala. Mi salutò gentilmente e leggermente scoraggiata andai in cerca degli altri. Mi recai da due sopravvissuti, ma entrambi dichiaravano di non aver mai avuto a che fare con tutto ciò. Ormai completamente demoralizzata, mi voltai per tornare verso casa e per un secondo il mondo si capovolse. Mi ritrovai stesa sul marciapiede a osservare il cielo. Mi ci volle qualche secondo per capire di essere andata contro ad un ragazzo. Eravamo entrambi caduti sul marciapiede e restammo a fissarci per qualche secondo. Era quel genere di ragazzo difficile da definire, né bello né brutto, né alto né basso, né magro né robusto. “Ciao. Piacere Jack.” Disse improvvisamente. Non so perché rimasi immobile a fissarlo senza pronunciare una sillaba. Finalmente risposi: “Ciao. Alexis”. Non eravamo ancora riusciti a riprenderci dall’assurda casualità del nostro incontro. Giacevamo inermi sul marciapiede. I nostri sguardi si intrecciavano, formando via via delle catene sempre più strette ed indissolubili. Chiunque avrebbe descritto questo strano fenomeno come un vero e proprio “colpo di fulmine”, ma una strana sensazione mi suggeriva che in tutto questo c’era una ragione. Cominciammo a sprofondare. Ancora quel prato, ancora quel cielo. Ma erano i suoi occhi le stelle più sfolgoranti. Udimmo la voce di Cassandra. “Entrambi sapete. Andate e abbiate coraggio.” Incapace di riconoscere le mie emozioni, non diedi segno di vita ed aspettai che un piacevole torpore si impadronisse di me. Aprii lentamente gli occhi e ripresi pian piano coscienza. Mi trovavo nuovamente nella mia stanza e la mia sveglia segnava le 23:15. Mezzora dopo mi trovavo di fronte alla porta a respirare profondamente. Appena uscita di casa, la morsa del terrore e dell’inquietudine mi intrappolò. L’aria fredda mi frustava il viso, gli occhi bruciavano e sentivo la gola secca. Ad ogni passo, la mia volontà si affievoliva sempre di più, fino a quando non mi fermai in mezzo alla piazza deserta. Ero immobile da ben 5 minuti ormai. Sentii una mano stringere la mia. Capii subito che si trattava di Jack. Ci incamminammo in assoluto silenzio verso l’obelisco. Sebbene l’avessi osservato molte volte, stasera appariva stranamente incombente. Attendemmo impazienti, e soprattutto curiosi, che avvenisse qualcosa. Tra i tanti dubbi, la presenza di Jack mi rassicurava. Standogli accanto mi sentivo completamente a mio agio. Non c’era bisogno di parlare. Erano i nostri occhi a farlo. Mi soffermai a leggere l’incisione sull’obelisco: “Dedicato ai caduti della seconda guerra mondiale.” Ad un certo punto la parola “caduti” cominciò a splendere. Pian piano la luce divenne talmente accecante che io e Jack fummo costretti a voltarci. Dopo aver raggiunto il massimo della sua intensità, il bagliore iniziò ad affievolirsi lentamente. Quando fummo in grado di aprire gli occhi, v’erano due figure eteree a fissarci incredule. Il dolce silenzio che ci aveva fatto compagnia, diventò improvvisamente un peso immane. I loro occhi grigi, immobili, sembravano contenere un universo il cui accesso era a noi negato. “Non so se voi siate mai stati mortali. Senza dubbio però ci osservate, ci conoscete, ci guidate. La nostra vita è una corsa sul bordo di un precipizio, ma ciò che la differenzia sono le esperienze che viviamo, i sentimenti che proviamo. Non avrei mai pensato di dover riflettere su quanto la vita per me sia preziosa, sono certo in ogni caso di esserne entusiasta. Ogni difficoltà, ogni dolore, vengono sempre ripagati con altrettante gioie, e credo sia addirittura impossibile descrivere la libertà. Noi uomini siamo nati per assaporare la nostra vita fino all’ultimo sorso, senza perderne neanche un momento.” Il monologo di Jack lasciò tutti esterrefatti. Avevo immaginato dei demoni dall’aspetto ripugnante, ma davanti a me dei candidi angeli ci fissavano commossi. Cominciarono a fissarsi l’un l’altro, come se potessero comunicare solo con i loro penetranti sguardi. Il più alto di loro fece un passo avanti. “Ci dispiace. Perdonateci.” Questa frase risuonò nella nostra mente. Improvvisamente tutto svanì. Mi sentivo cullata da una leggerissima brezza. Non ero sola. Jack era al mio fianco. E sapevo che ci sarebbe stato. Fino alla fine.
Serena Buccoliero
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