Futuro
«Fatto sta che non me ne frega un cazzo». Bella o brutta a seconda di come le luci le accarezzano il volto, Stefania manda giù un altro sorso di Cuba Libra, si mordicchia le labbra quasi le facessero prurito, poi continua: «Cioè non ti conosco nemmeno. Solo mi domando perché vuoi farlo, tutto lì».
«Vuoi una cazzo di ragione?»
Scrolla le spalle. «Eh».
Sentirsi fottuti. Abbastanza da pregare Dio e rinnegarlo nella stessa frase pronunciata a denti stretti. Solo qualche settimana prima, parlavo di viaggi, casa, mobili, futuro, con la donna che amavo. Coglione. Me lo dico da solo: ero un coglione.
Quando non riesci nemmeno a pronunciare il nome della donna che ami significa che qualcosa dentro di te s'è spezzato. A farlo, a spezzarmi, è stata una sola frase, semplice e diretta: «È da tempo che non ti voglio più».
E adesso questa Stefania mi domanda perché.
«Perché sarà una bella esperienza» mento, e lei mi fa: «Vaffanculo». Si alza, dirigendosi verso un altro tavolo. La trattengo per il polso, così sottile che ho paura di spezzarlo. Nei suoi occhi leggo disperazione, tanta, simile alla mia. Gli occhi sono lo specchio dell'anima, dicono. Ma nessuno specifica mai se si tratta dell'anima del proprietario o di colui che ci vede il proprio riflesso.
«E tu che ci fai all'una di notte in un pub ad abbordare uomini?» le faccio. «Vuoi soffocare qualsiasi cosa senti, no?, sostituendolo con qualcos'altro». Lascio la presa. «Be', io non voglio nemmeno quel qualcos'altro. Voglio non sentire più e basta».
«Non sentire più nulla?»
«Nulla». Scuoto la testa. «Nulla finché non potrò risvegliarmi in un mondo di sconosciuti».
Si passa una mano fra i capelli. «E poi?»
«E poi potrò ricominciare daccapo».
Il giorno dopo mi spiegano come tutto potrebbe andare bene e tutto potrebbe andare a puttane e aggiungono, ciliegina retorica sulla torta: «Allora, è sicuro?»
Faccio cenno di sì con la testa. «Sicurissimo». Me l'hanno chiesto tante di quelle volte che ormai dico di sì con la stessa superficialità di quando rispondi alla tizia del McDonalds che domanda annoiata se vuoi anche l'offerta speciale del cazzo insieme alle patatine fritte.
Chiudo gli occhi mentre li sento ripetere punto per punto tutti gli avvertimenti e la stessa medesima domanda. Questa volta non a me. «Allora, è sicura?»
«Abbiamo scopato, ma questo non significa mica che mi conosci» mi ha detto la sera prima Stefania. «Va bene se lo faccio anch'io?»
«Fa come cazzo ti pare» le ho risposto, voltandomi dall'altra parte.
Le capsule si chiudono. Comincio già a sentire freddo.
«Conta da cento a uno» fa la voce di un medico.
Non lo faccio. Tanto il sonnifero farà effetto comunque. Invece mi volto, guardando attraverso il vetro la capsula di Stefania. Nemmeno lei sta contando. Piuttosto mi guarda. Non è un pezzo di passato ma un accenno di presente, quello che mi sto portando nel futuro. Per lo meno è ciò che dico a me stesso.
Dovrei sorriderle ma non ci riesco.
Lei invece sì, ricordandomi proprio il sorriso della donna che avrei voluto dimenticare.