Il campo
Sono venuti a prendermi di notte, come mi avevi sempre detto che sarebbe successo.
Ho avuto solo il tempo di svegliarmi all'improvviso, con il cuore impazzito per il terrore dei colpi e gli urli che sentivo in casa. Due uomini in uniforme sono comparsi sulla soglia della camera e mi hanno puntato addosso una luce. Marisa si è svegliata in quel momento e ha preso a strillare, ma loro non si sono lasciati intimidire.
– Gilberto Coen! – ha sbraitato uno dei due. – Venga con noi. Subito.
Non ho chiesto dove. Marisa continuava a piangere e chiedere spiegazioni, ma sapeva anche lei cosa stava succedendo.
Fossoli. Quella era la mia destinazione.
Senza fiatare, per non rischiare che facessero del male a mia moglie, li ho seguiti. Ho passato il resto della nottata nello sgabuzzino di una caserma, assieme ad altri tre disperati. Nessuno ha dormito. Nessuno ha parlato.
La mattina dopo ci hanno tirati fuori. Ci hanno messi in fila e siamo usciti. – Vi portiamo sul furgone – hanno spiegato. – Con quello arriverete al campo.
Il campo.Lo chiamano soltanto così, come se fosse un pezzo di terra da coltivare.
È stato durante quel tragitto che ti ho visto. Uscivi dal barbiere, fresco di rasatura. Sentivo il profumo del dopobarba da mezza piazza di distanza. Camminavo a testa bassa, è stato quello a farmi alzare lo sguardo. Ed eri lì, attraversavi la strada. Sulle prime non hai fatto caso a me, ma poi mi hai visto.
E allora ho avuto un attimo di speranza: un Funzionario del Comune, il prossimo Vicesindaco, che è anche un mio amico di infanzia. Ci eravamo visti proprio il giorno prima, a pranzo. Tu mi avevi avvertito che c'era pericolo, mi avevi detto di andarmene, ma non ti avevo creduto fino in fondo. Ma ora eri davanti a me, e di certo tu, con una parola o una domanda, potevi almeno farmi guadagnare tempo.
– Giorgio! – ti ho chiamato. – Diglielo! Spiegagli che si sono sbagliati!
Il tuo sguardo era quello che si riserva a un ratto trovato in cantina. – Ma che dice? Lei non sa chi sono io!
Non ho avuto tempo nemmeno di guardarti di nuovo negli occhi. Mi hanno spinto, e in fondo alla piazza ci aspettava il furgone.
Siamo arrivati al
campo, e qui mi hanno dato una tuta e mi hanno messo a lavoro.
Il quarto giorno, mi hanno concesso di scrivere una lettera a qualcuno. Una soltanto.
Ho deciso di scrivere a te, Giorgio. Perché ripenso ogni giorno alle tue ultime parole. E ho capito che avevi ragione: io non so chi sei. Non lo so più.
E a questo punto, credo che non lo saprò mai.