| Dea madre della terra, quella è la mia femmina. La cavalletta che aveva catturato cercò di liberarsi, ma Lui non si fece sorprendere: le staccò la testa con un morso e per sicurezza l'arpionò infilandole una zampa tra le ali. Rialzò lo sguardo. Lei era ancora immobile sotto la stessa foglia. Sembrava lo chiamasse, lunga, slanciata, le zampe anteriori unite come fosse in preghiera, quelle posteriori grosse e potenti, verde e illuminata di sbieco dalla luce del sole. Lui strinse le mandibole sulla cavalletta e iniziò a succhiare. Un'ora prima avrebbe divorato anche il guscio vuoto, ma ora il cibo non riusciva a saziarlo. Si mise dietro di Lei aspettando di essere notato. Non fu una lunga attesa: disturbata, Lei si girò e gli mostrò le mandibole. Lui la fronteggiò, ma Lei era più grande e lo fece cadere, prima di avventarsi su un bruco. Non si diede per vinto: risalì il ramo e la superò, passandole così vicino che sentì le mandibole divorare la preda. Le formiche fuggirono sotto di loro. Lei lo ignorò. Lui si fermò e si voltò. Riprese a camminare e Lei lo seguì. Si fermò in cima alla pianta e sollevò una foglia: le offrì la colonia di afidi come pegno d'amore. Lei si avventò su di loro. Lui si avventò su di Lei. Dea madre, adesso so. So cos'è Lei e so per cosa mi hai destinato. Si sfregò contro il suo ventre, l'allargò e si fuse col suo corpo. Tutto per te, amore mio. Lei si voltò e con le mandibole gli staccò le zampe e le divorò, poi lo baciò e Lui sentì le viscere uscirgli dal corpo. Sì, sì amore mio, sì: qualunque cosa, qualunque. L'estasi e il buio arrivarono nello stesso istante. L'unica cosa che gli dispiacque fu di non avere più un corpo con cui esprimere la felicità che l'aveva invaso.
Lei si trascinava a fatica, il ventre pieno e il corpo dolorante. La sua corazza non era più lucida, né verde, e le sue zampe erano sottili stecchi rinsecchiti. La giovinezza era sparita. Afferrò un bruco, ma lo lasciò andare: dopo Lui, niente riusciva più a saziarla. L'ho fatto per loro, amore mio, l'ho fatto per noi. L'ooteca era pronta, la grande e riparata otre di fango nascosta dietro una roccia. Ti sarebbe piaciuto il nido per i nostri figli, lo so. Ma è troppo tardi, l'inverno sta arrivando e tu non sei qui. Chiuse gli occhi e appoggiò all'apertura dell'ooteca il ventre, quel ventre che un tempo gli aveva offerto. Spinse e le uova uscirono una alla volta. Sto arrivando. Sto arrivando amore mio. Non si reggeva più. L'ultimo uovo l'abbandonò e lei si lasciò scivolare sotto la pietra, al buio. Riaprì gli occhi: Lui le sorrise e lei ricambiò. Insieme volarono via, nella prima alba d'autunno.
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