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Grazie della compagnia, di Diego Ducoli

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Geppetto
view post Posted on 11/2/2014, 23:46




Erano quattro giorni che non mi alzavo dal letto. Il materasso emanava un odore acre di urina, che si mescolava a quello del mio corpo, un olezzo greve e pesante, misto di sporco e latte. Quel puzzo lo chiamavo amichevolmente “formaggino”. Sorrisi passandomi la lingua ulcerata tra i denti. Il medico la chiamava mucosite. Non capivo cosa centrasse il muco con la bocca, ma in fondo non m’ interessava.
Il male era iniziato dai polmoni, a poco sono serviti i vari interventi, si è sempre ripresentato, come un vecchio amico che non vorresti mai ritrovare ma puntualmente veniva a bussare alla tua porta “Ehilà! Ti ricordi di me? Dai sono Cancro o preferisci Tumore? Non siamo formali, pneumoadenocarcinoma non suona bene. Che ne dici? Tanto lo sai che torno e magari porto degli amici”
Gli amici arrivarono prima del previsto, li crescevo nella testa e nel fegato come dei figli ingrati.
Chissà come stava la mia piccola!? Quando ho allontanato la famiglia potevo leggere il sollievo negli occhi di mia moglie. “Puttana” esclamai in un accesso di tosse sanguinolenta, era stata contenta di liberarsi di questo mezzo cadavere, chissà chi si stava sbattendo adesso. Riuscivo a vederla mentre si fingeva disperata tra le braccia di un altro e insieme a quella piccola stronza della figlia.
Per un istante rimpiansi quei pensieri, la testa non era più quella di prima. Beh neanche il resto, in fondo avevo perso quasi trenta chili. Gettai uno sguardo sconsolato al piatto di minestra sul comodino, al solo pensiero del cibo lo stomaco si chiuse in una morsa, e il sapore acre della bile mi salì in bocca.
Mi persi nuovamente nei miei pensieri, era l’unica cosa che volevo fare, crogiolarmi nella disperazione e maledire tutti, tutti i sani, i vivi e quelli che avrebbero continuato le loro vite senza neanche sapere che stavo morendo.
La porta si aprì con un cigolio sommesso, sbattei le palpebre infastidito dal piccolo spiraglio che andava allargandosi. La figura si stagliava nella luce, i lunghi capelli biondi cadevano morbidi sulle spalle, sembravano ardere come una torcia. Impiegai qualche secondo a mettere a fuoco il viso ovale e gli occhi contornati da del trucco leggero. Nell’aria si diffuse un dolce profumo floreale, che mischiandosi con il mio olezzo richiamava alla mente una camera ardente.
Era bella. Giovane e bella… e la odiavo! Odiavo la smorfia di disgusto che compariva mentre mi lavava, lo storcere il naso per la puzza e quel finto, patetico buonismo. “Se ti faccio schifo vattene” volevo urlarle, insultarla, umiliarla, farla sentire una nullità come me. Volevo cancellare tutta quella vita… perché non giusto. Cazzo!! Non ci sarebbero state più passeggiate, abbracci, amici. Chi vorrebbe stare con questo… questo… questo schifo.
La osservai mentre armeggiava con le varie sacche che giacevano ai miei piedi, urine e drenaggi vari. Che ci sarà di interessante in quel piscio.
I capelli si aprirono come una tenda scoprendo qualche centimetro di pelle candida. Un piccolo ghirigoro spuntava dal collo della maglietta come un rametto d’edera da un balcone.
Con la mano afferrai la lampada sul tavolo, il supporto era pesante, forse troppo.
Abbassai il braccio con violenza, la base in metallo colpì l’edera. Un urlo.
Un semplice urlo e quel viso sbatté con violenza sulla sponda di metallo lacerando la pelle. Tump… tump… tump. Colpii ancora e ancora, finché un accesso di tosse mi strinse il petto lasciandomi senza fiato. Gocce di saliva purpurea sporcarono quei fili dorati che si allargavano sul marmo e un rivolo carminio solcò il pavimento. Mentre la tosse mi squassava rigirai il corpo. Uno sforzo sovraumano. La tosse colpiva duro e il sudore m’imperlava la fronte.
Mi sdraiai al suo fianco come un vecchio amante e strinsi le sue dita tra le mie godendo del calore che sarebbe svanito da li a poco. Ora non era più cosi bella. Era come me. Morto con morto, sangue nel sangue.
Nessuno dovrebbe morire solo… “Grazie per la compagnia”
 
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view post Posted on 12/2/2014, 19:20
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Magister Abaci

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Un racconto amaro e disperato. Il dramma del protagonista viene presentato in un crescendo, con un io narrante che sfodera a tratti caustica ironia, e spara a zero su tutto e tutti. Nella sua solitudine, vegliato solo dalla propria malattia, dal fetore delle proprie sacche e dal gusto acre che ha in bocca, si apre uno spiraglio: una badante costretta a quel lavoro senza avere una particolare predisposizione (o forse così la vede il pessimismo del protagonista esasperato dalla sua condizione). Ma neppure quella vicinanza è di qualche conforto: nella totale disperazione, l'unico sollievo lo trova nell'omicidio, per non morire solo, per non morire... solo lui.
Insomma, una storia che fa riflettere sulla solitudine, sul senso della sofferenza, sulla speranza che ormai si è esaurita, raccontata in modo serrato e con una conclusione che evita ogni intento liberatorio: imprigiona il lettore nel pessimismo esistenziale del protagonista.
 
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simolimo
view post Posted on 13/2/2014, 17:52




ciao Diego, piacere di conoscerti e ben arrivato a MC :) per te, come per gli altri che non ho mai incontrato, metto le mani avanti nel dirti che ogni cosa ti scriverò non è certo una verità, ma conseguenza del mio mero gusto personale, o conoscitivo :) bom, andiamo!

bel pezzo, forte, antipatico... anche scomodo, ma è la rappresentazione reale dell'altra parte della medaglia della malattia: c'è chi si affida agli ultimi momenti con gratitudine alla vita e chi invece diventa scontroso e cattivo, fino al midollo. questo è il caso. il racconto mi è piaciuto per il suo cinismo, per quella violenza che solo la consapevolezza della malattia degenerativa sa imprimere... non ho scorto grossi problemi nel testo, anzi: periodare e sintassi mi sono scivolate sotto gli occhi. il contenuto, invece, mi ha tratto in inganno, nel senso che non si capisce con infallibilità da subito dove si trovi l'uomo. ovvero, ho iniziato la lettura pensando che lui vivesse solo in casa, poi con la comparsa della ragazza mi sono detta che, invece, fosse in una clinica. ma se così fosse, insomma... non credi sia un po' troppo degenerativa la situazione di sporco che illustri in apertura?
un altro fattore che mi scorna è che ci fosse un'abat-jour sul tavolo... se è in una clinica, non ha un tavolo vicino al letto, men che meno una lampada ad appoggio. almeno, io non ne ho mai viste. certi posti sono soggetti a norme sulla sicurezza che non transigono. però...ripeto Diego, sono piccolezze, sono cose che ti segnalo per portare ancora più in su la qualità di questo pezzo.

beh, in conclusione: bravo. spero di rileggerti più spesso. ah, dimenticavo:) io toglierei l’ultimo periodo, quello che dà il titolo al brano… per me il pezzo se chiuso alla frase prima acquisisce più forza.
 
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Ceranu
view post Posted on 13/2/2014, 23:11




Sofferenza e rabbia, per un uomo direi abbastanza giovane, che nell'ultimo barlume di altruismo allontana i famigliari, per poi accusarli nel delirio della disperazione e dei farmaci. Pensieri rabbiosi di chi non può far più nulla, costretto a convivere con tutti i risvolti della malattia. Tutto sfocia nell'omicidio. Dal mio punto di vista è rappresentato bene, anche se qualche particolare me lo sarei evitato volentieri. Ormai sento l'odore del “formaggino” ovunque. L'accanimento su quella che credo sia un'infermiera a domicilio è esagerato. Ma la morfina può fare brutti scherzi. Bene.
 
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=swetty=
view post Posted on 16/2/2014, 23:18




CITAZIONE (Geppetto @ 11/2/2014, 23:46) 
Erano quattro giorni che non mi alzavo dal letto. Il materasso emanava un odore acre di urina, che si mescolava a quello del mio corpo, un olezzo greve e pesante, misto di sporco e latte. Quel puzzo lo chiamavo amichevolmente “formaggino”.

CITAZIONE (Geppetto @ 11/2/2014, 23:46) 
Gettai uno sguardo sconsolato al piatto di minestra sul comodino, al solo pensiero del cibo lo stomaco si chiuse in una morsa, e il sapore acre della bile mi salì in bocca.

A parte che, secondo me, il sapore della propria bile è più acido che acre, esistono anche altri aggettivi: in un racconto così corto la ripetizione di concetto rischia di sentirsi anche a distanza. E poi, è proprio indispensabile aggettivare questi odori già così caratteristici di suo?

CITAZIONE (Geppetto @ 11/2/2014, 23:46) 
Chissà come stava la mia piccola!? Quando ho allontanato la famiglia potevo leggere il sollievo negli occhi di mia moglie.

CITAZIONE (Geppetto @ 11/2/2014, 23:46) 
Cazzo!! Non ci sarebbero state più passeggiate, abbracci, amici. Chi vorrebbe stare con questo… questo… questo schifo.

Che segno di interpunzione sarebbero?

CITAZIONE (Geppetto @ 11/2/2014, 23:46) 
Volevo cancellare tutta quella vita… perché non giusto.

Manca qualcosa.

C'è qualcosa che non mi convince nella descrizione della malattia, ma è più una sensazione che altro. Per il resto il tema della rabbia del malato mi sembra azzeccato e interessante. Solo avrei preferito qualche sensazione più fisica: qualche dolorino, qualche prurito; dopo quattro giorni a letto i muscoli non ne possono più, la schiena duole, la farfalla della flebo fa male o diventa pesante, il drenaggio si sposta e così via. Qualsiasi cosa che ci avrebbe portato di peso nel letto del malato: invece così resta molto cerebrale, quasi astratto.

Ma poi, dove l'ha trovata la forza per uccidere l'infermiera?
 
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yaranilde
view post Posted on 17/2/2014, 07:26




Pezzo scomodo, sporco, ironico, tragico... potrei continuare.
Di sicuro fa riflettere e non ti sei risparmiato nel descrivere la rabbia del paziente.
L'unica cosa che posso dirti, essendoci passata purtroppo, che non l'ho sentito sulla pelle.
Vero che davanti alla malattia "del secolo", come la chiamo io, alcuni la prendono malissimo, diventano rabbiosi, vero anche che mariti o mogli spariscano perché non sanno affrontare il Male.
Secondo me dovevi calcare di più la mano sul disagio interiore.
Comunque complimenti!
 
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Sallow
view post Posted on 17/2/2014, 13:15




Ciao Geppetto, piacere di leggerti.
Sarò sincero, il racconto non mi è piaciuto molto. Non tanto per il tema, ma più per la forma che hai usato, che lo rende pesante da leggere. Inoltre, il tumore, tema centrale del risentimento del protagonista, più che avere un ruolo centrale, vivo e pulsante, risulta quasi in secondo piano, divenendo un pretesto come tanti, mi spiego, poteva essere il tumore come qualsiasi altro male a farle provare tali sentimenti, e allora a quel punto diviene superflua tutta la prima parte in cui si spiega al lettore che il protagonista soffre di tale malattia. In quest'ottica ti consiglierei, o poni in primo piano la malattia, o sfoltisci la prima parte, e lo fai dedurre solo sul finale il tipo di malattia di cui soffre.
Ci sono anche molte imprecisioni nella scrittura, te ne segnalo alcune:

CITAZIONE
Il male era iniziato dai polmoni, a poco sono serviti i vari interventi.

"a poco erano serviti"
CITAZIONE
li crescevo nella testa e nel fegato come dei figli ingrati.

"li facevo crescere"

CITAZIONE
Volevo cancellare tutta quella vita… perché non giusto

perché non giusta?

A rileggerci,

Sallow
 
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Mike009
view post Posted on 17/2/2014, 21:10




Una storia dai temi forti, la tristezza e lo sconforto della solitudine dovuta alla malattia (tema mai semplice da trattare), la disperazione e l'angoscia di fronte all'inevitabilità della sorte già scritta. Ma qui il buonismo delle storie ospedaliere è ben lontano, la crudeltà e il cinismo sono dietro l'angolo in un finale crudo, cinico, che disturba a dovere.
 
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kendalen
view post Posted on 17/2/2014, 21:56




Un malato terminale ripercorre la strada che lo ha portato nel letto di ospedale e, colto da una rabbia improvvisa, uccide l'infermiera venuta ad accudirlo in un ultimo, disperato atto di ribellione prima di morire. L'intero racconto è narrato dal punto di vista del malato, in prima persona, e questo di solito riesce a far immedesimare meglio il lettore: purtroppo non è questo il caso (almeno con me). Difficile stabilire il motivo, almeno a livello di caratterizzazione del personaggio: è evidente che ti sei concentrato sul passato del protagonista per renderlo verosimile, tuttavia la resa delle sue emozioni, di quello che prova ha un che di finto e infatti la "ribellione" finale arriva di sorpresa, mi verrebbe da dire quasi ingiustificata, proprio per la mancanza di empatia col protagonista e con la sua rabbia. A questo poi aggiungo qualche osservazione più tecnica: c'è un bruttissimo refuso all'inizio ("centrasse") e un pezzo scritto al passato prossimo quando dovrebbe essere al trapassato prossimo ("Il male era iniziato dai polmoni, a poco sono serviti i vari interventi, si è sempre ripresentato, come un vecchio amico che non vorresti mai ritrovare ma puntualmente veniva a bussare alla tua porta"). Infine, tendo a storcere il naso quando un racconto viene interamente narrato al passato e alla fine il protagonista, il depositario del punto di vista, muore: se racconta al passato, vuol dire che lo sta raccontando dopo il termine del racconto, ma se al termine del racconto muore, come fa a raccontarlo? È un fantasma? Dato che non ci sono elementi horror o esoterici, la cosa stride troppo.
 
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L'Inquisitore
view post Posted on 19/2/2014, 12:23




Racconto duro, cattivo, terribilmente reale. Un protagonista scomodo, un'azione ignobile, eppure non condannabile a 360 gradi, se ne capiscono i motivi, si percepisce la disperazione alla sua origine. Un finale perfetto che chiude un incubo raccontato con gelida precisione. Non si salva nessuno in questo pezzo o forse sì, forse l'assassino, suo malgrado, ne esce meglio di tutti gli altri. Complimenti.
 
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9 replies since 11/2/2014, 23:46   115 views
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