Nero Cafè Forum

Il sorriso di Sofia, di Francesco Nucera

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Ceranu
view post Posted on 11/2/2014, 23:48




Quindici giorni, era tanto che non uscivamo. Trascorrevamo le nostre giornate a fissare il televisore, immobili, in silenzio. L'unica nota allegra delle nostre giornate era la voce argentina di Sofia, la nostra piccola. Lei non si rendeva conto di quello che le stava capitando attorno, era solo felice di passare il tempo con mamma e papà. Per me non era lo stesso, le notizie erano disarmanti, la gente moriva, senza la minima differenza di razza o di età.
Noi eravamo scampati a quella piaga, avevamo chiuso il mondo fuori dalla porta. Ma non potevamo rimanere così in eterno, non eravamo auto sufficienti. Il cibo iniziava a scarseggiare.
Quella mattina, dopo aver gettato la spazzatura dalla finestra, aprii il frigo. Una bottiglia d'acqua mi fissò solitaria, era l'ultima. Convinto di lasciarla per la mia principessa, recuperai un bicchiere, e lo misi sotto il rubinetto.
-”sei pazzo? E se ti ammali?”- La mano di Gloria mi bloccò.
Come scosso dalle sue parole feci cadere il bicchiere, che si ruppe in mille schegge lucenti. Barcollai all'indietro tremante, stavo per fare una cavolata, avevo messo in pericolo la mia famiglia. La stretta calda di mia moglie mi fece calmare, avevo ancora tutto quello a cui tenevo di più. Ma per quanto ancora?
La piccola Sofia arrivò gattonando e si unì al nostro abbraccio, rideva, per lei era tutto un fantastico gioco. Combattei con me stesso per bloccare le lacrime, dovevo essere forte, ero io il loro macigno. Le carezzai i soffici capelli dorati, mi alzai e andai in camera.
Indossai un dolcevita e i jeans, ma mancava qualcosa. Frugai in maniera convulsa tra i vecchi abiti, doveva esserci qualcosa che poteva tornarmi utile. Finalmente trovai i vestiti che usavo per la moto, infilai il sotto casco, i guanti e gli stivali in pelle. Ero pronto.
Feci un grosso respiro e partii, ero deciso, dovevo provvedere alla mia famiglia. Passai in sala senza guardare le mie donne, non ne avevo la forza. Gloria mi chiamò, ma io non mi fermai. Arrivai alla porta e armeggiai con le chiavi. La mano mi tremava, avevo paura. Non sapevo cosa mi riservasse realmente l'esterno, ma era chiaro cosa sarebbe successo senza acqua e cibo. Prima che mia moglie potesse raggiungermi uscii. Lei non mi avrebbe seguito, doveva badare a Sofia.
Le strade deserte, le auto abbandonate e il silenzio, rendevano tutto surreale. Non avrei dovuto fare molta strada, all'angolo della via c'era un mini market: quello di Cho. L'aria gelida di gennaio entrava attraverso il cotone, squarciandomi la gola. Se mi fossi fermato avrei potuto sentire quei piccoli germi picconare senza pietà. Non la vedevo, ma sapevo che attorno a me c'era la morte.
Finalmente arrivai davanti alle vetrine che tanto stavo bramando, mi si fermò il cuore. Vetri rotti insanguinati invadevano l'interno del negozio. Senza speranza superai i cocci, facendo molta attenzione a non toccarli, anche quelli potevano significare la mia fine.
Un barlume di speranza rinacque in me, gli scaffali non erano completamente vuoti. Cercai un carrello, dovevo portare via più roba possibile. Sapevo dove li teneva Cho.
Guardingo mi avvicinai alla tenda di plastica, un piede dopo l'altro, facendo ben attenzione a quello che pestavo. D'improvviso sentii un sussurro, una voce lontana, flebile. Forse chiedeva aiuto, o forse esisteva solo nella mia mente provata. Mi bloccai, più per la paura che per la curiosità. Tesi le orecchie: non c'era più.
Cancellai subito quel ricordo, dovevo andare avanti.
In lontananza riconobbi la sagoma di un cestello, mi sarei potuto accontentare di quello per la mia prima uscita. Ma l'immagine della mia piccola Sofia mi comparve davanti, lei meritava il meglio. Quello fu l'ultimo pensiero lucido.
Qualcosa mi afferrò per la spalla, spaventato mi ritrassi sbilanciandomi e finendo a terra. Prima dell'urto col suolo sentii un forte dolore alla nuca, poi il buio.
Non so quanto tempo passò, minuti, ore. Attorno a me c'erano rumori, vita. A fatica riaprii gli occhi, la testa mi faceva male, e potevo distinguere in bocca il sapore acre del sangue. Una figura sfuocata mi si parò difronte. ”Stai bene?”
Quando il volto che avevo davanti divenne nitido, il cuore mi si fermò. Era calvo e pallido, aveva occhi rossi e croste nere sotto le narici. Era infetto. In preda al panico lo spintonai e iniziai a correre, superai gli scaffali e saltai fuori, e ancora più veloce verso casa. Qualcosa non andava, sentivo il vento in faccia. Portai la mano alla bocca, non c'era più il passamontagna. Quel coso mi aveva toccato.
In lacrime arrivai fino al portone di casa, mi voltai per vedere se mi aveva seguito, non c'era. Allungai la mano verso la maniglia, non era possibile.
Impietrito guardai l'uomo riflesso nella vetrata, ero io, ma diverso, senza segni evidenti, eppure potevo vedere il virus in me. Mi voltai e iniziai a camminare, senza una meta, senza una speranza. Lontano sentii la voce di Sofia, rideva, lei rideva sempre.
 
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view post Posted on 13/2/2014, 00:23
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Magister Abaci

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Un bel racconto anche questo. Mi ha riportato nelle atmosfere di tanti film zombapocalittici, tra cui l'ultimo “World War Z”. Il protagonista somiglia un po' a Brad Pitt negli intenti: deve difendere la sua famiglia, anche correndo il pericolo di rimanere contagiato.
Si nota la cura per i dettagli, per i particolari significativi, che sottolineano il legame dell'uomo con la figlia. All'esterno, poi, si respira l'atmosfera di un mondo ormai “morto” senza che ci sia alcun particolare raccapricciante se non proprio alla fine.
Peccato che la parabola della narrazione si chiuda senza una trovata particolare, che avrebbe impreziosito il tutto, ma solo con il banale fallimento del tentativo.
Bello, però, il rintocco finale con la risata della bambina.
In conclusione, nel racconto si respirano atmosfere come se ne sono viste e lette tante, ma si percepisce una sensibilità particolare per i sentimenti del protagonista, piuttosto che calcare la mano sull'evento eccezionale in sé.
 
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simolimo
view post Posted on 13/2/2014, 17:53




ciao Francesco e ben arrivato su Minuti Contati :) visto che è la prima volta che ti incrocio, ci tengo a precisarti che qualsiasi cosa leggerai, l'avrò scritta forte delle migliori intenzioni per esserti anche solo poco di aiuto o di confronto.
e ora, diamoci dentro che sennò ti annoio ancor prima di iniziare XD

il pezzo è forte, mette a nudo i sentimenti di un padre premuroso, di un marito innamorato... di un uomo molto preoccupato. il tutto è condito da una terribile realtà che non lascia scampo: la contaminazione mortale.
è impossibile rimanere estranei a un ipotetico futuro così terrificante, viene spontaneo calarsi nei panni della famiglia che descrivi, e l'atrocità aumenta più inserisci scene di dolce ingenuità fanciullesca. ma c'è un però. tutto va come deve andare e, non essendo il tema del morbo che uccide inesorabile e incontrastabile, una novità, ecco... un po' fa perdere di mordente al pezzo, perché si capisce da non appena si mette il sotto casco che non tornerà più. oltretutto, mi ha stonato la caduta... non ha su un casco, ha un passa montagna, praticamente... come fa a non sentire che qualcuno gli sta alle spalle? da come descrivi il negozio sarebbe quasi impossibile non fare rumore... ma, forse, me lo sono immaginata male io...

alcune note tecniche:
la punteggiatura è abbastanza incasinata, prende pause quando non dovrebbe e non ne fa dove invece ce ne sarebbe bisogno. ti riporto alcuni esempi, ma il pezzo è lungo...
- Come scosso dalle sue parole feci cadere il bicchiere, che si ruppe in mille schegge lucenti. > qui la punteggiatura è ballerina, la rivedrei così: "Come scosso dalle sue parole, feci cadere il bicchiere che si ruppe in mille schegge lucenti."
- Barcollai all'indietro tremante, stavo per fare una cavolata, avevo messo in pericolo la mia famiglia > "barcollai all'indietro, tremante. Stavo per fare una cavolata: avevo messo in pericolo la mia famiglia".

- un altro appunto che ti faccio è che hai messo moltissimi avverbi, non ti sto dicendo non usarli, ma sarebbe bene non abusarne... rallentano il ritmo e, in effetti, al 90% dei casi non servono, non aggiungono nulla alla storia. ecco.

- Trascorrevamo le nostre giornate a fissare il televisore, immobili, in silenzio. L'unica nota allegra delle nostre giornate era la voce argentina di Sofia > ripetizione ravvicinata di "giornate"

-”sei pazzo? E se ti ammali?”- > i segni d'interpunzione del dialogo sono i caporali, le virgolette o la stanghetta lunga, se usi uno non usi l'altro ;)

- Ma l'immagine della mia piccola Sofia mi comparve davanti, lei meritava il meglio. Quello fu l'ultimo pensiero lucido. > pensiero lucido? non sono madre, ma credo che prima di volere per la figlia qualcosa di meglio, lui voglia che lei continui a vivere, no? senza la vita, cosa può essere mai il "meglio"? io leverei questa frase ;)

riassumendo, la tua è una buona prova, che avrebbe meritato meno prevedibilità e, forse, un po' più di patos... e senno ;P l'uomo esce sì per salvare la famiglia, ma, allo stesso tempo, le mette in croce.
ciao Francesco, spero di rileggerti.
 
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Beppe Roncari
view post Posted on 13/2/2014, 23:53




Il racconto ha un’anima, l’anima di un padre che vuole salvare la propria famiglia, ed è ben scritto.
Detto questo, purtroppo rientra perfettamente nello stereotipo del racconto – mi si perdoni il termine – “zombie” contemporaneo e quindi abbastanza prevedibile.
Speravo e mi aspettavo un capovolgimento finale che lo avrebbe fatto vivere di una luce nuova dalla frase dell’“infetto” incontrato dal protagonista: “Stai bene?” Ecco, da questa frase mi ero fatto tutto un film mentale per cui ad essere malati fossero il protagonista e la sua famiglia – e magari anche moltissime altre persone su tutto il pianeta – ma non di un virus zombie ma di un virus della mente, che faceva vedere gli “estranei” come “infetti”. Ci ho sperato ancora un po’ quando il protagonista si vede “riflesso nella vetrata … senza segni evidenti, eppure potevo vedere il virus in me”.
Se non ci sono segni evidenti non può “vedere” il virus, a meno che non sia solo nella sua mente.
Purtroppo non è così e mi dispiace, perché sarebbe stato un capovolgimento narrativo preparato ma stupefacente che avrebbe potuto far emergere il racconto dalla massa delle storie di genere.
In ogni caso complimenti per la prima prova sul forum, Ceranu! :)
 
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Ceranu
view post Posted on 17/2/2014, 10:28




Grazie per i consigli. Ho apprezzato e apprezzerò ogni vostro commento, perché non posso che imparare confrontandomi con voi. Da questa sfida esco un po' malconcio, perché mi rendo conto di non aver trasmesso nulla di quello che volevo. Il messaggio era mascherato, ma probabilmente ho esagerato, risultando poco chiaro e scontato.
Il protagonista chiude la malattia fuori di casa, e passa le giornate davanti alla tv (patetico). Poi davanti ad un errore va nel panico, così come tutti quelli che non sono abituati a vivere. Da lì inizia la sua rovina, mette un sottocasco in cotone per evitare il contagio (espediente a dir poco inutile), esce di casa senza nemmeno salutare le sue donne. Va in strada privo di un qualsiasi piano, completamente allo sbaraglio. Non sente un uomo che lo chiama, attanagliato dal panico, e scappa quando questo lo risveglia, nonostante non sembrasse pericoloso se non nell'aspetto. La fine è misera come il protagonista.
Il mio intento era quello di mettere in evidenza i limiti di chi osserva la vita, senza mai mettersi in gioco, se non quando diventa indispensabile. Ma a quel punto non può che essere inadeguato e codardo.
In buona sostanza non ci sono riuscito, ma cercherò di far meglio la prossima volta.
grazie a tutti.
 
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Sallow
view post Posted on 17/2/2014, 13:33




Ciao Ceranu, piacere di leggerti.
Il tuo pezzo gioca una carta facile per quanto riguarda il contagio, ma, appunto perché un tema molto rodato, diviene sempre più difficile renderlo originale, o ripresentarlo in forma originale. Lo zombie è sicuramente una delle figure horror più interessanti, interpretabile anche metaforicamente, e il mondo surreale che si viene a creare durante, appunto, un apocalisse zombie, è sempre crudo e affascinante tanto quanto i suoi abitanti. Veniamo al tuo pezzo che, secondo me, manca di incisività. L'ossatura della storia è classica: la famiglia, o comunque il gruppo di persone, immuni, per i più svariati motivi, che deve in ogni modo sopravvivere. Lavorando su questo hai diverse possibilità: o ti concentri sull'ambientazione, di modo che il lettore sia affascinato da quella e, pur sapendo come la storia andrà, prova piacere nel vivere quegli ambienti, o ti concentri sul rapporto "umano" dei superstiti che, secondo me, è la via migliore perché da spazio a tante interpretazioni. Ora, tu hai fatto un po' tutte e due, senza farne risaltare nessuna e, di conseguenza, rendendo il pezzo piatto. Inoltre, sul finale, non si capisce se il tizio calvo è uno zombie o meno, dato che parla direi di no, e lui scappa perché non capisce, ma poi si vede contagiato pure lui (seppur ragiona ancora) e va via, quindi penso, allora anche quello di prima era uno zombie? ma che zombie sono allora? insomma, è un po' confuso. Bene l'inizio, ma a metà strada si perde, prova a darle una via più originale.
Ti segnalo alcune imprecisioni nella punteggiatura:
CITAZIONE
Quindici giorni, era tanto che non uscivamo.

Quindici giorni. Era tanto[...]


CITAZIONE
Feci un grosso respiro e partii, ero deciso, dovevo provvedere alla mia famiglia.

Feci un grosso respiro e partii. Ero deciso: dovevo provvedere alla mia famiglia.

CITAZIONE
Noi eravamo scampati a quella piaga, avevamo chiuso il mondo fuori dalla porta. Ma non potevamo rimanere così in eterno, non eravamo auto sufficienti. Il cibo iniziava a scarseggiare.

Noi eravamo scampati a quella piaga. Avevamo chiuso il mondo fuori dalla porta, ma non potevamo rimanere così in eterno. Non eravamo auto sufficienti, e il cibo iniziava a scarseggiare.

A rileggerci

Sallow
 
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L'Aguzzino
view post Posted on 17/2/2014, 13:40




Il racconto ha un buon ritmo e si segue con facilità. Ci sono alcune cose che non mi hanno convinto del tutto a livello di coerenza: il modo in cui lui esce di casa, senza dire una parola, nonostante Gloria gli andasse incontro. Se sai quello che può succedere là fuori, se è davvero così terribile, un abbraccio, un bacio – anche solo di incoraggiamento – secondo me sarebbero naturali. Soprattutto alla bambina. Il fatto che lui nel supermercato senta un rumore e poi lo accantoni non è credibile. Se il pericolo è quello che è, al minimo rumore stai con i sensi in allerta, forse valuti anche se sia il caso tornare indietro, uscire, cercare altrove. In ultimo, c'è poca chiarezza su cosa sia in effetti questo morbo, anche se in questo caso non è fondamentale saperlo avrei gradito un minimo di nozione in questo senso.
 
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Mike009
view post Posted on 17/2/2014, 21:06




I sentimenti del padre/marito che si sente responsabile, che non deve lasciarsi prendere dallo sconforto, dominano in una prima parte fin troppo tranquilla. Tranquillità che è solo il prologo per una seconda parte angosciosa dove ci viene mostrato un mondo allo sfascio e senza speranza fino al finale immancabilmente tragico. Molto ben orchestrato e ben narrato.
 
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kendalen
view post Posted on 17/2/2014, 21:59




Una classica epidemia mette in ginocchio il mondo; un uomo, nel tentativo di procurare da mangiare per la propria famiglia, finisce per contrarre il contagio e condannarsi a non poter più riunirsi con moglie e figlia. Tralascerò la mancanza di originalità, in un periodo in cui tra zombie e simili ormai sono anni che di apocalissi ne spuntano come funghi: almeno la tua ha il pregio di essere qualcosa di meno "drastico", i malati non sono burattini senza coscienza. Non per questo è meno terribile. I problemi del tuo racconto però risiedono da un lato nell'uso eccessivo dei possessivi (e di alcune specificazioni inutili: voglio dire, che utilità ha sapere che il market è "di Cho", quando Cho non compare e non sappiamo nemmeno il nome del protagonista?) e dall'altro in una gestione squilibrata dei tempi narrativi. C'è un lungo (quanto lo può essere in un racconto scritto in così poco tempo, è ovvio) build-up, poi l'azione si consuma nel giro di pochissime battute, con l'evidente fretta di chiudere per rimanere nel limite delle 5000 battute. Peccato, un maggiore equilibrio avrebbe giovato non poco al tuo racconto.
 
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=swetty=
view post Posted on 18/2/2014, 06:11




CITAZIONE (Ceranu @ 11/2/2014, 23:48) 
Lei non si rendeva conto di quello che le stava capitando attorno, era solo felice di passare il tempo con mamma e papà.

Magari i bambini fossero così insensibili, in realtà hanno il radar per percepire la tensione. Se mamma e papà sono preoccupati, i bambini urlano e strepitano in continuazione.

CITAZIONE (Ceranu @ 11/2/2014, 23:48) 
Noi eravamo scampati a quella piaga, avevamo chiuso il mondo fuori dalla porta. Ma non potevamo rimanere così in eterno, non eravamo auto sufficienti. Il cibo iniziava a scarseggiare.

autosufficienti (attaccato), altrimenti sono "automobili che bastano"

CITAZIONE (Ceranu @ 11/2/2014, 23:48) 
Quella mattina, dopo aver gettato la spazzatura dalla finestra, aprii il frigo.

Quale spazzatura? Se non hanno niente da mangiare, cos'hanno da buttare via?

Secondo: se il mondo fuori è pericoloso, apre la finestra con tale non chalance?

CITAZIONE (Ceranu @ 11/2/2014, 23:48) 
Le strade deserte, le auto abbandonate e il silenzio, rendevano tutto surreale.

niente virgola tra soggetto e verbo

Quello che ho apprezzato è che non si tratta di zombie. Ma per il resto non cambia molto: un'apocalisse come ce ne sono tante, con però diversi difetti, come ti hanno già fatto notare. Per parte mia, dirò che non spiegare il meccanismo del contagio è un problema in queste storie, perché serve a delimitare l'antagonista e a stabilire le regole del gioco. Così, in una situazione in cui potenzialmente può succedere di tutto (l'acqua è contaminante, ma anche l'aria, o il contatto), o loro sono immuni e allora non dovrebbero avere paura del contagio, oppure la credibilità viene messa a dura prova. O il alternativa tutti muiono alla prima scena.

Oltre a questo, cercare di condensare un'apocalisse in poche righe è un'esperienza rischiosa e porta, come in questo caso, a dire un sacco di cose concentrate senza poter mostrare molto e quindi si perde di immedesimazione.
 
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Ceranu
view post Posted on 18/2/2014, 10:12




Ciao swetty. Provo a spiegarmi ancora. Il problema del protagonista é proprio il suo isolamento. Lui non sa come si propaga il contagio. Si affida alla tv, che notoriamente crea allarmismo. Dalla finestra aperta é difficile possa entrare un contagio, non era in una camera stagna.
Nonostante quello che sostengono in molti, non tutti i bambini reagiscono da manuale, sarebbe semplice.
Temo che non sia passato nulla per colpa del pregiudizio nei confronti di un argomento monotono, ma questa é colpa mia.
 
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Geppetto
view post Posted on 18/2/2014, 10:23




Caro ceranu
Sembra quasi scocciato. Dovresti vivere le critiche come un momento di crescita e non di polemica.
 
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Ceranu
view post Posted on 18/2/2014, 10:36




Ciao Geppetto.
Mi dispiace se ti ho dato dato quest'impressione. Ho apprezzato ogni singolo spunto di riflessione. Trovo tutto estremamente formativo.
 
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L'Inquisitore
view post Posted on 19/2/2014, 19:41




Altro racconto davvero ben scritto e godibile da leggere che pecca nel raggiungere appieno i suoi obiettivi. Interessante la figura dello zombie non zombie che gentilmente chiede come stia il protagonista, ma ecco che è proprio lì la debolezza: quello non doveva essere il punto di arrivo, ma semmai d'inizio di tutto il racconto. Chiaro, in quel caso sarebbe stata necessaria una struttura meno lineare, più tesa a ricostruire, ma avresti potuto lavorare molto meglio sul perché, sulle reali problematiche del protagonista, andando a scavare più a fondo e non trovandoti invece a dover chiudere così in fretta a causa dei quasi raggiunti limiti di caratteri.
 
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13 replies since 11/2/2014, 23:48   135 views
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