— Finiscila! — sibilò Luis. — Smettila di guardare.
Juanito non cessava di muovere gli occhi sulla gente che camminava intorno a loro, sulle vetrine luccicanti, sui lucidi vetri e sull'altissimo soffitto a travi d'acciaio.
Luis gli afferrò il braccio. — Guarda davanti e basta! Vuoi farci scoprire?
— Eh? — Juanito girò la testa verso le vetrate, da cui si potevano vedere gli aerei sulla pista.
Luis aumentò la stretta. — Noi qui ci veniamo tutti i giorni. Ricordi? — Indicò il pavimento con il mento. — È nel nostro quartiere. Non guardi più niente, perché ormai conosci tutto a memoria. La macchina bruciata, la baracca crollata, quel mucchio di vecchi ferri arrugginiti che erano... Ma mi senti?
Juanito lo fissò. Alzò le sopracciglia. — Ehi, Luis. Bello vederti qui.
— Voi due! — La voce alle loro spalle era ferma e dura. — Voi due, fermi!
* * *
Moretti puntò il dito contro il petto dell'ispettrice doganale. — Tu. Questa è una tua responsabilità. Tutto questo aeroporto è una tua responsabilità. Se passano, se anche solo uno di quelli passa, te la farò pagare.
La donna mise le mani sui fianchi. Gli arrivava a malapena alle spalle, ma era così piazzata che in quella posizione sembrava poter fermare un autotreno. — È una mia responsabilità, appunto.
Moretti indicò le file di passeggeri che passavano davanti ai tavoli dei controlli doganali. — Si vede. Nessuna maschera. Quello laggiù neanche ha i guanti di gomma.
L'ispettrice girò appena la testa. — Vannelli, vieni qui! Subito!
L'uomo abbandonò la valigia che stava aprendo e corse verso di loro.
Moretti scrollò le spalle. — Sì, vediamo l'esibizione di potere.
Vannelli si fermò davanti all'ispettrice. — Eccomi!
— Lascia perdere i controlli. Abbiamo qui Morelli, dei servizi...
— Moretti.
— Sì? Be', e io mi chiamo Vastanauro. — La donna alzò il mento. — Vastanauro. E come ha detto lei, questo aeroporto è una mia responsabilità.
Moretti sospirò. Le spalle si piegarono come se si fosse sgonfiato. — Va bene. Lasciamo perdere i conflitti di potere. Quei due vanno presi prima che passino il confine.
Gli occhi di Vannelli andavano dall'uno all'altra. — Ma perché? Cosa hanno di tanto speciale?
— Infatti — disse Vastanauro. — Che hanno di così speciale?
* * *
Luis allungò le mani per prendere i passaporti, ma l'agente di frontiera fu più veloce di lui a raccoglierli dal tavolo. Si alzò e li fece ballare su e giù.
— Questi li tengo io. Non vi muovete.
Luis lo seguì uscire dalla stanzetta, chiudendosi la porta alle spalle.
Juanito lo guardava. — E adesso?
Luis annuì. — Siamo nei casini. Ci hanno fermati.
— Non riusciremo...
— Zitto. — Luis si guardò intorno. Una telecamera nell'angolo in alto sopra la porta. Uno specchio sulla parete lunga. Un'altra telecamera alle loro spalle, proprio sopra la seconda porta.
Tornò a guardare il tavolo.
— Juan.
— Che facciamo?
Sul viso gli si leggevano disperazione, ma anche tensione. Paura.
La paura fa muovere le montagne.
— La porta dietro di noi è aperta. — Indicò con il mento il proprio petto, poi Juan. — Devono essere le stanze della polizia, tanto lì due passeggeri li noterebbero subito. Ma noi no.
* * *
Moretti camminava veloce, quasi correva nello stretto corridoio. — Vastanauro, se sono loro mi rimangio tutto. Le farò avere un encomio, una medaglia, una promozione.
— Sì, d'accordo. Ma mi dice perché ci tiene così tanto? Cosa gliene importa ai servizi segreti di due corrieri sudamericani?
Moretti si fermò all'incrocio con un altro corridoio. Guardò da entrambi i lati come se potesse capire da solo dove andare.
— E poi, perché gli agenti devono lasciare la stanza? Li hanno già perquisiti. Non sono pericolosi.
Gli occhi di Moretti si fissarono su di lei, duri. — Non è solo una droga. È un virus. Un virus che induce l'organismo a sintetizzare sostanze psicotrope, pronte da raccogliere e rivendere. Quei due sono vasetti pieni di semi. Non è solo droga. Immagini una serra zeppa di fiori. Solo che le piante sono persone. Gente bruciata dalla droga.
* * *
Luis e Juanito sbucarono di corsa da dietro la colonna di cemento della metropolitana e attraversarono il viale deserto affiancato da rachitici alberi secchi. Si infilarono in una strada stretta fra due palazzoni grigi dall'intonaco cadente e subito l'odore di polvere di ferro e asfalto fu sostituito da quello dell'immondizia e dell'urina.
— Non ti fermare, Juan! Corri!
Superarono un reticolato che proteggeva un cortile ingombro di roba vecchia e una saracinesca sfondata che copriva un rettangolo nero da cui soffiava odore di muffa e putrefazione.
Girarono in un vicolo, saltarono un reticolato. Si buttarono a sedere dietro un cassone di immondizia.
* * *
— Non capisco — disse Vastanauro indicando i due sudamericani seduti nella stanzetta oltre il vetro. — Cosa hanno da sorridere?
Moretti scosse la testa. — Le tossine agiscono anche su loro stessi. Chissà cosa vedono.
Vastanauro fissò quei visi dai tratti ispanici dalla durezza stemperata dal sorriso. — Sembrano rilassati. Come fossero arrivati a casa.