Lo vide che andava avanti e indietro fra due cassonetti rovesciati. Camminava, si fermava, guardava in alto e verso la strada, fissava il cane che frugava nell'immondizia; alzava il mento di scatto e scuoteva la testa.
— Forza — disse Giovanni. — Vieni dentro.
Il ragazzo lo guardò, gli occhi sbarrati.
Giovanni si girò come per riprendere a camminare. — Muoviti.
Le spalle del ragazzo si abbassarono come se si fosse sgonfiato. Si affiancò a Giovanni e lo seguì lungo il muro sbreccato e coperto di graffiti che era la facciata della chiesa. Camminò a testa bassa, i ricci scompigliati che gli nascondevano il viso.
— Passiamo da qui. — Giovanni si fermò al portone riparato con assi di legno grezzo. — Dall'altra parte ci vuole troppo.
Entrarono nella piccola chiesa, rischiarata solo dalla striscia di luce che veniva dalla sagrestia e dalle poche candele elettriche vicino al confessionale.
Giovanni guidò il ragazzo all'ultima panca, che scricchiolò sotto il suo scarso peso. Lui sedette con cautela proprio sopra le gambe di legno.
— È lo Zombie, vero? — Giovanni guardò lo spoglio altare di marmo. — È sempre lo Zombie.
Il ragazzo alzò la testa, la fronte aggrottata. — Lo Zombie?
Giovanni alzò le spalle. — O un'altra droga. È da quando sono prete di questo quartiere che il problema è quello. Sempre quello. Prima dello Zombie...
— È vero — lo interruppe il ragazzo — è lo Zombie. In un certo senso, è stato lo Zombie. Ti fa viaggiare, ti fa vedere posti lontani, il futuro e anche il passato. La gente morta. Proprio la gente morta, sì.
Giovanni annuì per incoraggiarlo a proseguire.
— Volevo il mare. Una spiaggia tropicale. Di persona in persona, a cavallo della coscienza collettiva sarei arrivato in quei posti dove c'è sempre il sole, e la gente ha soldi ed è felice. Invece...
— Non ti porta sempre dove vuoi tu.
— Vedere mio padre, e alla mia età. È stato come essere a confronto, capisci?
Giovanni scosse la testa. — Non devi fare paragoni. Mai.
Il ragazzo infilò una mano tremante nella tasca del giaccone e ne estrasse un cilindro metallico: non una dose, ma un contenitore da spacciatore. Lo porse a Giovanni. — Ecco. Non lo voglio più vedere.
* * *
Aprì gli occhi su una accecante luce circolare. Una parete bianca intorno prese forma, e insieme una voce terrorizzata.
— Dai, dai. Ti prego, svegliati.
Il soffitto della sagrestia. Il piccolo lampadario a disco che c'era già prima di lui. E la voce distorta dalla paura era di quel ragazzo drogato.
— Forza, forza. Non chiudere gli occhi. Parla.
Gli stava tenendo la testa sollevata dal pavimento.
— Ma cosa volevi fare? — Il ragazzo era sul punto di mettersi a piangere. — Tutta insieme. Ma dove cercavi di arrivare?
— Hai visto tuo padre — mormorò Giovanni.
Gli occhi del ragazzo si spalancarono. — Tutta insieme. Volevi...
— Avevo bisogno di lui. Dovevo sapere cosa fare. — Giovanni deglutì. — Se andare avanti.
— Sei pazzo. — Il ragazzo scosse la testa. — È solo il tuo cervello che fa quel gioco. Non stai davvero viaggiando.
Giovanni scosse la testa. — Non importa. Dovevo vederlo, sentirlo. Anche se era solo la mia immagine di lui. Dovevo sapere.
Il ragazzo si lasciò cadere seduto sul pavimento. — Almeno ti è andata bene. Sei vivo. — Sospirò. — Ma poi, che ti ha detto?
Giovanni sorrise. — Quello che mi aspettavo.