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Agorafobia, di Marco Actis Dato

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marcoad82
view post Posted on 25/6/2014, 21:20




Luca mi saluta. E mi saluta Mario, mi stringe la mano, e mentre lo fa mi accorgo che in tutti questi anni i nostri contatti fisici sono stati limitatissimi. Che sia la prima volta che ci tocchiamo? Se non la prima, una delle poche - non che questo rappresenti un mio desiderio frustrato. Intanto anche Luca si fa avanti; credo che voglia imitare il gesto di Mario, più che altro.
Aspettate, ragazzi, non ho salutato Laura. In verità l'avevo già salutata, ma voglio fare ancora un giro. Respiro l'aria stantia piena di pulviscolo che ho maledetto per trentotto anni; tocco la offset impolverata. Conosco il suo corpo meglio di quello della mia donna. Questa cosa fa ridere. E ora che ci penso fa ridere anche di più che io abbia stampato libri per tutta la vita e non abbia letto altro che quotidiani (stampati da altri). Ma tant'è. Che fai ancora qui, Vittorio? Vittorio sono io. Niente. E allora smamma, ma sei matto? Va', va' che te la godi, ora. Eh, sì, me la godo. Giorgio mi dà un pugno sulla spalla e mi sorride. Non siamo mai andati d'accordo, e lui lo sa benissimo come mi sento. Tra un paio d'anni tocca a lui. Allora ci vediamo, faccio. Spero di no, se ti vedo ancora qui attorno, giuro che facciamo a cambio. E ti tocca tornare. Ah, no, eh? dico. Va', levati dalle palle.
Me ne vado. Torno a casa da Sabrina. Che fai al buio? Niente. Mi siedo. E allora è finita? Finita; sospiro, sorrido. Bello. Ora sei tutto mio. Ci guardiamo. Lei è in pensione già da cinque anni. Ora siamo pari. Allora che faccio, lo porto io il cane, adesso? Ma sì, portalo tu. Scendo con il cane, facciamo il giro dell'isolato, incontro il Rezzoli. Saluto. Saluta. Brav'uomo il Rezzoli, saluta sempre. Il cane caga sul viale, e io raccolgo la fatta con un sacchetto della Conad. Poi torno su. Che si fa? Si mangia? Ma sono le sei e mezza, Vittorio. E va be', ho fame. E allora mangiamo, dammi una mano, su.
Non parliamo granché a cena. Non parliamo poi tanto Sabrina e io. Ci conosciamo da tanto che non abbiamo più niente da dirci; conserviamo le parole per quando vengono i ragazzi. Accendo la televisione e guardiamo il telegiornale, poi a metà Sabrina comincia a sbuffare guardando la parete sopra il telefono e allora metto il telequiz che le piace. Tiriamo a indovinare e lei qualcuna l'azzecca, io no.
La mattina dopo per prima cosa mi metto seduto sulla sponda del letto. Non ho dormito niente. Guardo Sabrina che si stropiccia gli occhi e le faccio: Senti Sabrina. Eh. Mi sa che ho pensato a una cosa. Sentiamo. Ma secondo te mi riprendono in tipografia? Ma Vittorio! No, dico davvero. Sei in pensione. Sì, ma magari hanno bisogno. Magari non hanno osato chiedermelo. Non possono mica assumerti. Ma intendo gratis. Sabrina scuote la testa. Porta giù il cane, Vittorio, poi facciamo colazione e vedrai che qualcosa da fare te la troviamo.
 
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Angelo Frascella
view post Posted on 26/6/2014, 22:06




Piccoli elementi di quotidianità, un uomo che va in pensione, senza clamori e senza grosse emozioni, almeno apparentemente. Ma poi una nota stonata, una notte insonne e quell'incapacità di adattarsi alla vita da pensionato viene fuori, sempre senza clamori, ma in maniera efficace. Complimenti: non è facile raccontare una storia con dei toni così sobri eppure facendo passare il dolore esistenziale del protagonista.
 
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Ceranu
view post Posted on 27/6/2014, 21:52




Ciao Marco, è stato veramente un piacere leggere il racconto.
In un primo momento l'assenza di punteggiatura nei dialoghi mi ha spiazzato, ma superato il primo impatto ho potuto apprezzare la semplicità di lettura. Scorre tutto benissimo. La storia non mi ha impressionato particolarmente, anche se è vero che molti sono schiavi del proprio lavoro, ma sono talmente tanto lontano dal poterla provare che non mi coinvolge. “bello” il rapporto con la moglie, molto veritiero.
Alla prossima.
 
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Beppe Roncari
view post Posted on 29/6/2014, 09:06




Ciao @Marco, bel racconto, delicato, disperato, vero.
Bella la scelta di stile e i dialoghi senza virgolette, tanto si capisce tutto dalle "voci" dei personaggi, caratterizzate da poche sapienti e sobrie pennellate.
complimenti. :)
 
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Callagan
view post Posted on 29/6/2014, 16:47




Ciao Marco, questa è la prima volta che leggo qualcosa di tuo. Il pezzo è complesso... mi ha incuriosito per quanto riguarda lo stile... e la forma del narrato. La schiavitù dal lavoro non è proprio una novità, quindi con la specifica anche in questo caso siamo al limite, ma onestamente mi è piaciuto come hai gestito il tema... Mi hai fatto entrare nella mente del protagonista e mi hai fatto provare il suo bisogno di tornare a lavoro.
Proprio su questo punto mi piace soffermarmi... Questa forma narrativa ha senso se il flusso che hai creato rappresenta quello che viene nella mente del protagonista. E' l'unica spiegazione possibile a questo tipo di narrato. Una soluzione che in generale gestisci bene, tranne in un punto:
CITAZIONE
La mattina dopo per prima cosa mi metto seduto sulla sponda del letto

Non ha senso dire "La mattina dopo" in un flusso di pensieri, in un continuo narrare del presente. Credo che sia l'unica piccola caduta in un racconto in generale ben gestito e, ripeto, complesso. Una buona prova, bravo. ;)
 
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Sallow
view post Posted on 29/6/2014, 22:00




Ciao Marco, piacere di leggerti.
Sul racconto ho poco da suggerirti, una bella narrazione, nostalgica, ma senza risultare pesante. Mi è piaciuta. Avrei forse usato qualche “a capo” in più, per farla risultare più scorrevole, dato che un muro di parole che esprime un flusso di coscienza può risultare scoraggiante a tratti. Ma son gusti personali, così come non mi ha convinto troppo la scelta di integrare dialoghi e narrato, l’ho trovata un po’ azzardata, ma, ripeto, è un gusto personale, per il resto, bella prova.
Una cosa, non ho capito il nesso col titolo, l’agorafobia non è la paura degli spazi aperti?
Alla prossima.
 
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simolimo
view post Posted on 30/6/2014, 13:54




ciao Marco ^_^ ! piacerissimo di leggerti :) !
pezzo ormai contemporaneo in cui il narrato è fuso in modo comprensibilissimo con il dialogo misto che il protagonista sostiene con le altre comparse. ottimo. molto, molto buono anche il linguaggio e la costruzione delle frasi che risulta veloce e immediata, snella e di facile lettura. per contro, alla leggerezza della trama si contrappone la malinconia del contenuto che spinge l'uomo a non saper dire basta a quello che ha conosciuto nella vita come il suo migliore amico, peggior nemico e attraente amante... a me i l tuo pezzo è piaciuto moltissimo e senza riserve alcune... pur non trovandolo uno tra le “schiavitù” più nuove che ci sia, anzi…
bravo, e alla prossima! spero di rileggere qualcosa di tuo ^_^
ciao ciao!
 
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Il Carnefice
view post Posted on 2/7/2014, 16:04




Ciao,

la schiavitù dal lavoro è un tema di cui si parla spesso, e ha poco di nuovo. Lo stile inoltre rende la lettura difficoltosa, invece di facilitarla. Va bene sperimentare, ma solo per migliorare la lettura, o ciò che si offre al lettore, non per complicargli al lettura. Detto questo, il racconto ha anche i suoi lati positivi. Riesce a trasmettere molto bene l'alienamento del protagonista e ci porta un po' nella sua testa. Il racconto migliorerebbe se si concentrasse più sui contenuti, che non sulla forma con risultati a mio parere poco buoni (per quanto riguarda lo stile, non il racconto in generale).
 
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Peter7413
view post Posted on 2/7/2014, 17:24




Ho fatto molta fatica nella prima parte e solo alla seconda lettura ho unito i punti. Come giudizio generale è buono, alla fine lo stile scelto è efficace e interessante, ma il fatto che la situazione non sia chiara da subito e che, appunto, sia necessaria una seconda lettura, gli fa mancare qualcosa. Da rivedere cercando d'inserire di fornire immediatamente al lettore le giuste chiavi di lettura, il resto va bene com'è. Fosse già stato completo sarebbe stato da primo posto, complimenti per lo stile.
 
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strellima
view post Posted on 2/7/2014, 17:44




Ciao Marco!
Questo racconto mi è piaciuto moltissimo, sotto tutti gli aspetti. L'aderenza al tema è evidente e nemmeno troppo banale, a mio parere, perché parli di una forma di schiavitù se non nuovissima quantomeno recente: non il lavoro in sé, ma il sentirsi utili solo in funzione di un ambito produttivo, il non avere altro ruolo sociale/esistenziale se non all'interno del posto di lavoro, appunto.
Non ho avuto difficoltà di comprensione e ho apprezzato anche il modo che hai di intercalare i discorsi diretti nella narrazione senza particolari forme distintive o segni di interpunzione (leggi Cormac McCarthy? anche lui usa spesso questa forma). I dialoghi, quindi, non mancano ma scivolano nel testo in maniera fluida e discreta.
Infine, ultimo punto che sto tenendo in considerazione nel valutare i testi, il tuo racconto ha una trama compiuta e, sebbene in un ristretto spazio temporale, gli eventi si evolvono senza cadere nella staticità.
A mio parere davvero un buon racconto, complimenti.
A rileggerti presto,
Alessandra
 
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Raffaele Marra
view post Posted on 2/7/2014, 23:02




Si tratta di un racconto davvero originale nello stile, capace di trasmettere uno stato di inquietudine e di tremore quasi corporeo, oltre che emotivo. Mi è piaciuto leggerlo per la forma. Poi il finale ha innalzato notevolmente il livello del contenuto dando spessore all’intera storia, andando a recuperare magistralmente il rapporto con il tema del mese e producendo, in una piccola sorpresa chiarificatrice posta saggiamente nelle ultime righe (esattamente come nei racconti che piacciono a me), un epilogo che spinge il lettore a ri-immergersi nel testo dal principio e fare un nuovo giro, con una nuova consapevolezza, nei panni di questo amabile uomo qualunque.
 
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Olorin
view post Posted on 3/7/2014, 15:51




Voglio interpretarla come una scelta di stile netta e inequivocabile, un flusso di ricordi, pensieri e percezioni che si piantano sul foglio così come vengono visualizzati nella mente di chi li formula e le prova.
A mio parere è però un risultato troppo sincopato, dove l’illusione della velocità in realtà è dato da un susseguirsi, quasi – o forse proprio – un accavallarsi di elementi a volte di non semplice e immediata collocazione.
Lo spaccato stantio del rapporto tra Vittorio e Sabrina per esempio, richiederebbe forse un ritmo più indolente per immedesimare il lettore nell’atmosfera casalinga, ma l’incalzare di immagini non va esattamente in questa direzione.

Quel “Vittorio sono io” è un’intromissione dell’autore che grida vendetta.

Nel complesso trovo anche qui più il concetto di ‘dipendenza’ piuttosto che quello di ‘schiavitù’.
 
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11 replies since 25/6/2014, 21:20   134 views
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