Gocce di memoria
di
Francesco Nucera
Leo, seduto vicino alla stufa, cercava di sfruttarne la luce per guardare una foto ingiallita. Lo ritraeva da giovane, a petto nudo, con un fucile in mano. Indossava dei pantaloni mimetici, e ai piedi lo stesso modello di anfibi che aveva in quel momento. Accanto a lui, sorridente come sempre, c'era Rachid in uniforme. Ma quello era un ricordo, di un passato lontano, legato al tempo dei giochi.
Un lampo cadde vicino alla casa, illuminando a giorno il salotto. Un'ombra immensa si proiettò sul muro per quella frazione di secondo. Spaventato, Leo si gettò all'indietro.
«Anche stanotte la stessa storia?» Ada aspettò che il tuono si esaurisse. Uscì dall'ombra, e gli andò incontro, mostrando un ghigno sadico. «Se ti vedessero i tuoi uomini, cosa direbbero?»
Leo si sollevò da terra, incurante infilò la foto nella tasca laterale dei pantaloni.
«Non lo sapranno mai.» disse l'uomo sedendosi sul divano. «Perché a te piace questa casa!»
Ada sollevò il labbro superiore e storse il naso. «Se potessimo avere la luce, tutta la notte, sarebbe meglio.» disse scocciata.
«Abbiamo il frigo e il gas. Accontentati.» rispose lui.
«Quello lo faccio da sempre,» La donna scoppiò in una risata forzata. «e il vicinato ti ringrazia.»
Leo strinse forte il plaid su cui si era seduto. «Se non fosse stato per tuo padre.» Si morse le labbra per non finire la frase.
«Non parlarmi di quel traditore. È lui che mi ha cacciato in questo guaio.»
«Non chiamarlo così.» Leo schizzò in avanti, fermandosi a una spanna dalla moglie. «Lui era diverso da te!» sussurrò rabbioso.
La donna rise ancora più forte della prima volta. «Voi non dovreste usare certi termini» Lo stava sfidando. «Voi siete come tutti, no?»
Leo si voltò e tirò un calcio al vuoto. Un tuono coprì l'imprecazione che gli uscì dalla bocca.
«Quanto ardore, ti chiamava così Rachid?» Ada gli poggiò la mano su una spalla. «Sai, mi sarebbe piaciuto conoscerlo. Peccato se ne sia dovuto andare.»
Leo si voltò di scatto, aveva gli occhi gonfi di lacrime, e le mani gli tremavano.
«Che cosa vuoi?»
«Farti soffrire, come mi ha costretta a fare mio padre.» I capelli biondi di Ada, volteggiarono in aria mentre si girava dandogli le spalle.
«Lo stai già facendo da dieci anni.» disse Leo fra i denti.
Ada finse di non sentire e, lentamente, andò fino all'ingresso. Prese la giacca del marito e se la mise. La fascia rossa, che doveva cingergli il braccio, le circondava il gomito.
«Credo che potrei fare anch'io il gerarca.» Fece una piroetta su se stessa. «Magari non farei fuggire tutti quei negri.»
«Smettila» Implorò Leo.
«No, smettila tu. Fai come i tuoi amici. Vattene, e lasciami vivere.» La donna urlò tutta la sua rabbia.
«Non posso, ho promesso a tuo padre che avrei lottato dall'interno.» Leo scoppiò a piangere.
«Mi fai schifo. Mi fate schifo tutti.» Ada sfilò la giacca e la gettò a terra. «Domani parlerò con degli amici. Ti conviene andartene.»
«Non lo farai.» Leo le andò incontro a mani giunte.
Ada non rispose, ma il suo sorriso parlava chiaro.
Un fulmine lontano illuminò una finestra. Leo estrasse la pistola e attese, uno, due, tre secondi. Arrivò il tuono, e con esso un lampo dall'interno della casa.
Leo, seduto vicino alla stufa, cercava di sfruttarne la luce per guardare una foto ingiallita. Scoppiò a piangere, pensando all'amore della sua vita, che aveva perso per sempre. Rachid.