| La prova
Guardo il tetto della cella. In quest’ala del penitenziario non c’è nemmeno il beneficio della luce lunare, cancellata dalla potenza di fari alogeni pronti come enormi occhi a scrutare ogni movimento sospetto. Mi chiedo se sia il mondo a dover essere protetto dagli inquilini di queste quattro mura o piuttosto il contrario. La luce gialla che entra dalle inferriate disegna linee rette sul delirio di scritte e disegni osceni che decorano il muro. Non vola una mosca, alle quattro del mattino anche le guardie dormono. Laszlo, nel letto sotto il mio, è immobile. Sporgo la testa: l’ultima pera di eroina lo ha steso, ha ancora la siringa infilata nel braccio. Mi alzo per pisciare, e in un moto di pietà gliela tolgo. Se domattina passa una guardia e lo vede si becca un giro di legnate, e una perquisizione della cella non ce la leva nessuno. Controllo nel materasso, per scaramanzia. Con le dita tasto la superficie dura e della scatola di legno. Poi chiudo gli occhi e mi addormento con la serenità nel cuore.
Il cortile sembra una male bolgia. Gli unici a non cercare un riparo dal sole di mezzogiorno sono i neri, incuranti del caldo infernale. In un angolo del cortile vedo i ragazzi della fratellanza ariana, raggruppati in un fazzoletto d’ombra come pallidi scarafaggi pieni d’odio. Attraverso lo spiazzo, sollevando piccoli turbini di polvere a ogni passo. C’è un vecchio, interamente tatuato, riparato sotto una tenda improvvisata con un lenzuolo. Gioca a dadi con un ragazzo. Non arrivo fino a lui, un colosso dall’espressione stolida mi sbarra la strada. <<cosa vuoi dal capo, ese?>> Storpia la parola con disprezzo. Faccio una smorfia, lo spingo di lato urtandolo con una spalla. Mi afferra per un braccio, pronto ad attaccare briga, il pugno già serrato per colpirmi. Poi un fischio, e rimane immobile con espressione perplessa. È il vecchio ad aver fischiato. Si alza, viene verso di me. È una tela vivente, talmente coperto d’inchiostro da sembrare vestito. <<e così tu saresti il Diablo, l’artista?>> Annuisco. <<dicono che sei il tatuatore più bravo dell’intero penitenziario.>> Annuisco ancora. <<lo vedremo>> ghigna. <<lo vedremo>>.
La mia mano corre veloce, spingendo gli aghi della bacchetta sottopelle. Esce del sangue, non troppo, mischiato all’inchiostro composto da fuliggine e urina. Il ragazzo stringe i denti, cercando di sopportare il dolore che da diverse ore gli martello sulla schiena. Il sudore mi cola sugli occhi, fa un caldo infernale. Quando finisco è ormai notte, il ragazzo è svenuto da un po’. Con dell’acqua e un panno gli pulisco la schiena. La luce dei riflettori che entra dall’inferriata illumina la schiena che mi ha fatto da tela. Una madonna dal volto scheletrico mi guarda, elemento centrale di una composizione di angeli e santi. Sono soddisfatto, so di aver fatto bene. Il vecchio sorride. A quanto pare ho superato la prova.
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