— Mai sentita una canzone nuova che ti sembra subito di conoscere da sempre?
Tirai indietro di scatto l'ago della flebo. Fortuna che era ancora fuori quando aveva parlato e mosso il braccio, altrimenti l'avrebbe spezzato.
Batté con le unghie rotte e sporche di terra sul telaio metallico della barella. — Così. Ta. Ta, ta, ta-ta, ta. Oppure...
— D'accordo, ma adesso fermo.
Gli presi il polso e lo girai per scoprire di nuovo l'incavo del gomito. Lanciai appena un'occhiata al laccio emostatico, quasi sepolto da strati di stoffa mescolati di camicie spiegazzate e unte e maglioni bucati. Difficile che si sleghino solo muovendo il braccio, ma non si sa mai.
Annuì.
Avvicinai l'ago alla vena, un'autostrada blu su quella pelle pallida e sformata.
— È una musica, una canzone.
Questa volta non si era mosso. — Va bene, ma fermo con il braccio.
— Feste pagane, abolite e rinnegate. Ma quella musica si tramanda attraverso la cultura. Una dissonanza di note fischiettata da un facchino viene percepita appena sotto la soglia della coscienza da un compositore, e diventa un elemento marginale di un arrangiamento. Un capoofficina lo ascolta, e il giorno dopo mette a punto il suo macchinario finché non sente apparire quel suono nel ronzare ritmico dell'aspirapolvere che la sua fabbrica produce. La casalinga ci pulisce intorno alla culla in cui sonnecchia un bambino, e quel bambino sei tu.
L'ago era dentro. Mi raddrizzai e infilai la cannula nella sacca della flebo. La vecchia nella barella accanto mosse la gamba ingessata.
— Ma poi si ricompone, perché quello non è che un frammento.
Aggrottai la fronte. Se l'avevano ingessata, la frattura doveva essere già stata ricomposta.
— È così che arriva a te, che arriva a tutti. Ma è un niente, due note di seguito, tre al massimo.
Parlava ancora della musica. Tirai indietro le spalle e stirai la schiena. Il pronto soccorso era una distesa di barelle: persone supine, girate su un fianco o sull'altro; di alcune vedevo solo un mucchio informe sotto la coperta d'alluminio. Uno splendido natale, per tutti.
— Quando la canzone sarà di nuovo intera ci riporterà indietro al medioevo, alle feste eretiche nei boschi, fatte solo di urla di dolore e piacere, degli uomini infoiati e delle donne che violentano, trascinate...
— Fra poco si sentirà meglio. — Lo interruppi, prima che scendesse nei dettagli. — Adesso devo occuparmi degli altri.
* * *
Uscii dal parcheggio e mi fermai allo stop. L'uomo della musica era fermo sul marciapiedi che guardava da una parte all'altra. Uno dei colleghi doveva averlo dimesso.
Feci un respiro profondo. Doveva essere una persona istruita, ora nemmeno sapeva dove andare. Quelle feste pagane di cui parlava forse per lui erano una speranza di salvezza, il vero infermo la solitudine di un natale per strada. Non potevo fare niente per lui, nient'altro.
Feci ripartire la macchina e girai a destra.
Allungai la mano verso lo stereo. Il dito rimase sospeso a un millimetro dal pulsante di accensione, mentre la paura mi bloccava il respiro.