| Alla fine eccoci qui, io e te, forse per l’ultima volta. Ricordi il momento in cui tutto è cominciato, vero? Io me lo ricordo nitidamente. Fu un concatenarsi di imprevisti alla fine dei quali, c’eri tu. Insomma, quel giorno, quello della gara intendo, tutto mi aspettavo fuorché di incontrarti. Eppure, così a prima vista, mi pareva proprio che non c’entrassimo nulla l’uno con l’altra, che non avremmo mai avuto niente da condividere. Per questo ho desiderato che fosse una relazione fugace la nostra, ma persino i giornali scrissero sin dal primo istante che non ci saremmo più separati, che saremmo rimasti per sempre insieme. E da allora di strada ne abbiamo davvero fatta parecchia tu e io, di sfide ne abbiamo affrontate, anche di apparentemente impossibili, ma ce la siamo sempre cavata egregiamente. Sono tornato piccolo con te, ma lungo la strada sono cresciuto più che mai. E i giornali hanno continuato a scrivere di noi, non più delle mie gare, bensì delle nostre, dei trofei vinti, delle medaglie conseguite. Un palmares notevole, non c’è che dire, anche se io e te sappiamo essere ben più ricco di quello ufficialmente visibile a tutti. Quanti traguardi invisibili abbiamo tagliato, vecchi e nuovi, quanti sacrifici. In alcuni momenti ti ho odiato, lo ammetto. La tua intransigenza, la tua ineluttabilità, la tua ostinazione. Mi hai sempre sostenuto, ma alla fine ero io dei due quello che doveva darci dentro, questo mi è stato chiaro sin dall’inizio. Ti ho odiato profondamente perché a volte confondevo la debolezza che avevo dentro, con te che eri lì ad alleviarla, a trasformarla. Perdonami… Ma sì, in fondo lo hai sempre fatto. «Signor Franzosi, è pronto?» «Sì, solo un attimo ancora per…» «È la stessa cosa che mi ha detto un’ora fa». Sento la porta richiudersi e mi volto a guardare. Un raggio di sole entra dalla finestra e fa risplendere il camice del dottor Ranzulli, fermo sulla soglia. Si toglie gli occhiali e con aria perplessa comincia a sfregare le lenti dentro il fazzoletto, candido anch’esso. Prende tempo, sceglie le parole. Glielo’ho visto fare migliaia di volte. «Carlo, tutto questo porterà solo giovamento alla sua vita, ripareremo il danno subito dalla schiena in quel tremendo incidente, riporteremo indietro il tempo» inforca nuovamente gli occhiali che rimandano un lampo di luce «Insomma, tornerà a camminare!» “Il tempo indietro”. Quella frase mi si conficca nel cuore e mi viene istintivo guardarti, per cercare ancora quella sicurezza che tu mi avevi saputo restituire. «La sedia… è la sedia a rotelle il problema? Potrà portarsela a casa ed esporla nella stanza dei trofei, potrà sedercisi ancora sopra se lo desidera, con la differenza non da poco, di potersi poi anche alzare». Addio. «Andiamo». Due infermieri irrompono nella camera, afferrano il letto e lo sospingono verso l’uscita. «L’equipe ci attende, sarà un intervento epocale!» civetta Ranzulli. Un altro traguardo da tagliare, ma non saremo più io e te a farlo. Tu ti fermerai questa volta, giusto prima della linea…
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